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TENSIONI SUI MERCATI / Il domatore o lo speculatore?

di Marco Onado

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10 Febbraio 2010

C'era da aspettarselo. L'inasprirsi delle tensioni sui mercati finanziari ha indotto molti politici dei paesi nell'occhio del ciclone, dalla Grecia alla Spagna, ad additare al pubblico ludibrio gli speculatori che giocano cinicamente al ribasso e minacciano di compromettere la stabilità di intere economie. Un vecchio copione: anche nella crisi asiatica di fine anni Novanta, il premier malese Mahathyr Mohamed aveva paragonato il mercato dei capitali a una «giungla di bestie feroci» che aveva fatto crollare la valuta del suo paese.
Cos'è cambiato da allora? Semplicemente il fatto che gli attacchi si sono spostati dalla periferia del mercato globale al cuore dell'Europa. A proposito: non esiste un ministro delle pari opportunità che metta al bando il gentile acronimo «Pigs» (porci) creato per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna? O almeno costringa gli anglosassoni che lo usano a ricordare che Regno Unito e Irlanda non stanno meglio di noi?
Per il resto, tutto come prima, anzi peggio di prima, soprattutto per quanto riguarda le regole della finanza e la possibilità di creare pressioni speculative che possono dar luogo ad effetti distruttivi, perché dominanti rispetto alle contromisure che i singoli governi possono prendere con le armi a loro disposizione.
C'è di più: alla speculazione sono state offerte munizioni in abbondanza, grazie alla liquidità creata generosamente almeno a partire dagli anni Novanta e ancora più generosamente proprio negli ultimi due anni per salvare il sistema finanziario mondiale dal disastro.
Ammesso che la speculazione sia una bestia feroce, non solo non si è fatto nulla per domarla, ma si sono graziosamente offerti (su un piatto d'argento, è il caso di dire) tutti gli strumenti perché continuasse ad agire indisturbata. Che non sia stato fatto nulla dopo le crisi di fine secolo (nonostante molti segni premonitori) è grave, ma che non sia stato fatto nulla negli ultimi due anni è semplicemente scandaloso. Il Chicago Mercantile Exchange ha rivelato l'altro ieri che vi sono posizioni al ribasso sull'euro per quasi 8 miliardi di dollari. Considerato che si tratta di uno solo dei mercati regolamentati – comunque una modesta frazione rispetto ai mercati Otc, over-the-counter – si ha un'idea della minaccia che si sta accumulando e delle pressioni cui sarà sottoposto il mercato nelle prossime settimane.
Ma chi ha costituito queste posizioni? Non certo solo gli hedge funds, cui è fin troppo facile attribuire la parte dell'orco malvagio. In prima linea troviamo il fior fiore (si fa per dire) delle banche globali, dalle ex investment bank americane a quelle europee, che hanno sviluppato in modo particolare l'attività sui mercati finanziari (spesso a scapito di quella al servizio di famiglie e imprese) e il cosiddetto trading di proprietà, che tecnicamente poi comporta l'assunzione di posizioni speculative per importi estremamente rilevanti.
Ma dove sono le tante misure che avrebbero potuto ridurre la consistenza di questo tipo di operazioni o avrebbero quanto meno consentito di renderle un po' più difficili e rischiose per chi le pone in essere? Dove sono i limiti all'indebitamento sulle banche? Dove sono le imposizioni eccezionali su certe forme di passività? Dove sono gli obblighi di spostare la maggior parte possibile dei derivati su mercati regolamentati? Dove sono i vincoli al trading proprietario? Sembra di ripercorrere l'Antologia di Spoon River: «Tutti, tutti dormono sulla collina». Al massimo, le norme sul trading proprietario sembrano destinate a un lungo (e probabilmente improduttivo) dibattito sull'opportunità o meno di accettare la drastica separazione sostenuta da Paul Volcker.
Forse i politici si aspettavano un po' più di riconoscenza dalle banche che hanno così generosamente prima salvato e poi alimentato con liquidità abbondante e a basso costo. Forse credevano di aver ideato un astuto meccanismo per creare una domanda pressoché automatica di titoli pubblici. Forse, pensavano maliziosamente che le pressioni speculative (non sgradite fino a quando davano luogo ai profitti delle banche di casa) si sarebbero rivolte altrove. In ogni caso, si trattava di pie illusioni.
Il punto cruciale è che oggi i mercati pretendono misure drastiche, sotto forma di politiche di spesa sempre più restrittive che i politici dei paesi europei oggi nell'occhio del ciclone considerano non a torto un autentico suicidio. Più in generale, se applicate ad altri paesi come gli Stati Uniti, secondo autorevoli economisti come il premio Nobel Paul Krugman, potrebbero allontanare indefinitamente la ripresa dell'occupazione e dell'attività produttiva.
La belva pretende prezzi che sono sempre meno socialmente tollerabili. È tempo quindi che i politici smettano di lanciare sterili invettive contro le bestie feroci (mai comunque identificate con nome e cognome) e si ricordino che il loro mestiere è soprattutto quello di fare il domatore.

10 Febbraio 2010
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