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Capire la crisi? Elementare mio caro Watson

di Alessandro De Nicola

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10 gennaio 2010

Niente berrettino da cacciatore (il deerstalker). Nessuna pipa ricurva o mantellina. Il violino è solo strimpellato e il personaggio non ha il naso aquilino e sottile, le mani delicate e lo sguardo penetrante, bensì un aspetto un po' guascone che ben si addice al fisico agile e muscoloso. Insomma non è Sherlock Holmes!
Invece sì, l'ultima trasposizione cinematografica del detective più famoso della letteratura mondiale non solo compie un'opera filologica, eliminando alcuni elementi posticci (come il cappellino e la pipa a forma di proboscide) che nei libri di Sir Arthur Conan Doyle non compaiono essendo stati aggiunti a teatro e al cinema, ma mette in risalto ciò che ha reso Holmes così originale e imitato: il suo metodo scientifico.
In questi giorni è infatti in proiezione il film Sherlock Holmes con grande successo di botteghino. Il nostro investigatore, trasandato, ironico, manesco, aiutato da un dottor Watson sottile, atletico e belloccio (non proprio come il pacioso medico dei libri) se la deve vedere con una sorta di Lord Voldemort della Londra del XIX secolo, Lord Blackwood.
Come tutti i pazzoidi dalla mente fervidamente geniale e criminale della storia del cinema, anche Blackwood vuole dominare il mondo, destreggiandosi tra politici e sette massoniche, riti magici e tutta la panoplia complottarda ed esoterica stile Dan Brown & soci. Il Lord sembra imbattibile: spaventa l'opinione pubblica, ammalia i seguaci e sgomenta la polizia perché si presenta come dotato di poteri magici e immortale. Qual è, però, l'arma segreta che permette a Sherlock di sconfiggere il cattivo? Applicare la summa del suo approccio logico: quando hai eliminato l'impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile, deve essere la verità.
Allorché ci si presentano situazioni spiegate in modo implausibile, fumoso, illogico, senza fondamento in massime di esperienza o che seguono percorsi cognitivi tortuosi, meglio applicare il rasoio di Ockham: entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem, non bisogna moltiplicare le spiegazioni senza necessità, la più semplice sarà quasi certamente quella giusta (non a caso nel miglior libro di Umberto Eco, Il nome della rosa, il protagonista è un incrocio tra il filosofo e il detective, Guglielmo da Baskerville). Holmes smaschera i trucchi di Lord Blackwood e dei suoi accoliti anche se all'inizio non riesce a trovare il bandolo della matassa: tuttavia il metodo scientifico è tutto qui, continuare a ricercare, sperimentando e sottoponendo le proprie ipotesi a continui test di falsificabilità.
Tenere a mente l'importanza di tale approccio è essenziale in tempo di grande crisi. Non riuscendo a capire esattamente la sua origine, soprattutto i politici agitano vaghi fantasmi quali l'avidità; l'assenza di scrupoli; la mancanza di regole, scordandosi di indagare sul come mai quelle esistenti (ed erano tonnellate) fornissero gli incentivi perversi e distorcenti che hanno poi squilibrato l'economia. Esempio semplice: il fenomeno dei subprime è stato causato e agevolato da una serie di normative regolamentari e fiscali e da politiche della Federal Reserve che hanno creato la bolla immobiliare. Chi non capisce spiegazioni semplici, come il Congresso americano, per tutta risposta approva ulteriori sgravi per l'acquisto di case, drogando quel mercato il cui stato di ebbrezza era all'origine della crisi. In altre parole, quando i governi non vi convincono, quasi sempre la verità è «elementary, my dear Watson».
adenicola@admsmith.it

10 gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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