Dopo avere vietato il fumo nei locali pubblici (compresi locali privati, ristoranti e bar) cinque anni fa, il nostro paese si appresta a impedire ai guidatori di accendersi una sigaretta nell'intimità della propria automobile. La norma è contenuta nella proposta di riforma del Codice della strada attualmente all'esame del Senato.
L'Italia segue così l'esempio di San Marino, che nel 2008 ha istituito il divieto di fumo alla guida. Vennero allora citati ponderosi studi prodotti da società di consulenza esperte del settore, i quali stabilivano senza ombra di dubbio che, mentre per rispondere a una telefonata il guidatore si distrae per appena 2,1 secondi, l'arduo compito di recuperare accendino e pacchetto di sigarette richiede 2,9 secondi, e la macchinosa operazione di accendere l'agognato bene ne brucia altri due. Dall'inizio alla fine, si rischierebbe di attraversare l'intero territorio di San Marino senza nemmeno accorgersene!
Anche in Italia i sostenitori di questa norma hanno avvalorato la propria posizione citando autorevoli fonti britanniche, dell'Ontario e perfino di Bangor, nel Maine, ma i fumatori che guidano (o i guidatori che fumano, vedete un po' voi) non sembrano troppo convinti. Come avviene di norma nel caso di crociate statali contro comportamenti riprovevoli, si rimane abbastanza stupiti per l'arbitrarietà della proibizione: i cinque secondi necessari per accendersi una sigaretta non sembrano una distrazione più grave di quella causata dal cambiare il Cd che stiamo ascoltando o dall'impostare la destinazione sul navigatore della nostra macchina.
E, se vogliamo, ascoltare musica o un talk show radiofonico non è forse una distrazione? E che dire dei cartelloni pubblicitari piazzati sul bordo delle strade? Sebbene, sorprendentemente, non siano stati condotti studi in proposito, non è del tutto assurdo immaginare che le modelle della pubblicità di biancheria intima e costumi da bagno abbiano sulla coscienza più di un incidente sulle nostre strade.
Alla prova dei fatti nel nostro paese il divieto di fumo è risultato abbastanza popolare. Smentendo lo stereotipo, l'Italia è stata all'avanguardia in questo campo, promulgando la cosiddetta "legge Sirchia" che proibiva il fumo nei locali pubblici: era proprio il paese della dolce vita quello che avrebbe rinunciato al piacere di una sigaretta dopo un buon pranzo o mentre si sorseggia un aperitivo?
A cinque anni di distanza possiamo dire che agli italiani la segregazione dei fumatori è piaciuta, specialmente nei ristoranti. Non bisogna però dimenticarsi dei costi del divieto. Le nuove regole hanno imposto a ristoratori e baristi di diventare una sorta di pubblici ufficiali, obbligandoli a far rispettare la proibizione nei propri locali e arruolandoli controvoglia in una sorta di "polizia antifumo". Ma nel caso della legge attualmente all'esame del Parlamento, questo aspetto diventa piuttosto problematico: affidare al guidatore il compito di fare da cane da guardia di se stesso e di appiopparsi una bella multa qualora dovesse cedere alla tentazione di accendersi una sigaretta è assurdo e impossibile. Ma immaginare di passare al vaglio tutte le automobili che viaggiano sulla rete stradale italiana è altrettanto impossibile. E non vorremo mica che ogni guidatore controlli che gli altri autisti non stiano contravvenendo la legge, distraendosi così dalla guida e vanificando la giustificazione stessa del divieto?
Lo stato (grazie a Dio) non è proprietario di ristoranti, né di autovetture (con l'eccezione delle auto blu) e può giustamente regolarne l'uso al fine di impedirne un utilizzo sconsiderato o pericoloso. Ma asserire che accendersi una sigaretta rappresenta una distrazione che può avere gravi ripercussioni sugli altri guidatori significa spingere troppo oltre il concetto di esternalità negative – e al contrario ridurre oltremodo lo spazio della libertà personale.