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MEDIA E PANDEMIA / L'influenza ha il vaccino le «bufale» non ancora

di Riccardo Chiaberge

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10 novembre 2009

Lettrici e lettori attenzione, sta dilagando una pandemia se possibile più insidiosa dell'influenza A. È l'influenza B: come Bufala. Se provate a digitare su Google «vaccino» o «vaccinazioni», vi si rovescerà addosso un torrente di allarmismo fangoso, legioni di dèmoni scatenati e di bestie dell'Apocalisse.
Centinaia di blog, giornali online e siti di controinformazione (citiamo per tutti «L'Angolo del Gigio») propalano senza il beneficio del dubbio le «terribili verità» che gli gnomi della sanità mondiale, dall'Oms in giù, ci tengono nascoste per i loro nefasti disegni.

Vaccinarsi contro il virus H1N1? Non se ne parla nemmeno. È dimostrato per esempio, anzi assolutissimamente certo che l'autismo è causato dai vaccini: prova ne sia che non ci sono bambini autistici tra gli Amish della Pennsylvania (ricordate il film Witness con la stupenda Kelly McGillis?), una comunità religiosa di origine olandese che ha scelto di vivere come nell'Ottocento, separata dal resto della popolazione, senza cerniere lampo né tv, e che rifiuta di vaccinare i propri figli.

È sicurissimo che il vaccino, «a lungo termine», provoca danni irreparabili al sistema immunitario, sclerosi multipla e artrite reumatoide, come possomo testimoniare i reduci dalla Guerra del Golfo. È provato che nei preparati che dovrebbero proteggerci dalla pandemia sono presenti micidiali nanoparticelle che possono attaccare cellule sane. E comunque sia, non vorrete mica fare un favore a Big Pharma, la cupola d'affari più potente del mondo, che ormai fa impallidire per fatturato l'industria delle armi, e che si inventa flagelli di Dio al solo scopo di rimpinguare i profitti?

Il fatto più sconcertante è che siano i medici per primi ad alimentare questa psicosi, sconsigliando la vaccinazione ai propri pazienti. E i medici, si suppone, dovrebbero avere le carte in regola per giudicare e decidere in scienza e coscienza.

Sabato scorso il quotidiano parigino Libération ha sparato in prima pagina l'immagine di una siringa col titolo: «Il virus del dubbio». Nell'editoriale si prende atto del clima di ostilità generale, della tesi del «complotto igienista» di cui potrebbero essere accusate le autorità francesi che hanno acquistato 98 milioni di dosi di vaccino e ora devono smaltirle in qualche maniera, ma conclude con una messa in guardia contro ogni «oscurantismo» che esporrebbe la popolazione a rischi mortali in caso di epidemia. E cita Voltaire, che nel '700 fu tra i primi paladini della vaccinazione di massa.

Navighiamo in acque inesplorate, e come sempre in questi frangenti ci vuole cautela, razionalità e sangue freddo. Certo, nel caso dell'Italia, saremmo forse meno diffidenti se il viceministro alla salute Fazio non si mostrasse così corrucciato, se ogni tanto ci regalasse un sorriso. Ma a pesare soprattutto è il pregiudizio antiscientifico di tanta parte dell'opinione pubblica, anche di quella più acculturata, che vede nella medicina ufficiale un covo di dottor Mengele, e si cura esclusivamente con l'omeopatia e i fiori di Bach, che sono tanto più chic degli antibiotici.

L'influenza A è un nemico subdolo e imprevedibile. Come ha scritto l'altro ieri sul nostro supplemento «Domenica» l'immunologo Alberto Mantovani, «la scarsa aggressività e il basso rischio di complicanze gravi e mortalità per il singolo individuo, confrontabile, se non inferiore, a quello dell'influenza stagionale, non sono motivo per non far ricorso al vaccino. Infatti, anche per l'influenza stagionale, tutti gli anni viene approntato un vaccino ad hoc che è fortemente consigliato». Di rischi ce ne sono in tutti gli interventi medici, ma la vaccinazione si colloca ai livelli più bassi. E il principio di precauzione andrebbe applicato a 360 gradi. Chi ci garantisce, ad esempio, che ingozzarsi di papaia fermentata sia una difesa efficace contro il virus? Che non danneggi alla lunga il nostro organismo? Visti i prezzi, di sicuro fa bene a chi la produce. Quanto a noi, che non viviamo tra gli Amish, nessuno lo sa.
Riccardo Chiaberge

10 novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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