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Auguri caro Presidente ma il premio è una trappola

di Gianni Riotta

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10 Ottobre 2009

Se il presidente repubblicano George W. Bush passerà alla storia come il leader della guerra preventiva, non è forse esagerato dire che il suo successore democratico, Barack Obama, potrebbe finire sui libri di scuola come leader della pace preventiva. Era infatti alla Casa Bianca da appena due settimane quando, il 1° febbraio 2009, scadeva la deadline per le candidature al premio Nobel per la pace. E ieri l'ha ricevuto, certo come auspicio e non per i risultati ottenuti in pochi giorni. Con la grazia che lo contraddistingue il presidente Obama s'è detto «sorpreso e reso umile» dal riconoscimento, ammettendo di non «meritare» la compagnia di Mandela e Aung San Suu Kiy, ritenendo il Nobel «a call to action», richiamo ad agire.

Solo due presidenti hanno avuto il Nobel negli anni della Casa Bianca, Theodore Roosevelt nel 1906 per la mediazione nel conflitto russo-giapponese e Woodrow Wilson per la Lega delle Nazioni, sfortunata antenata dell'Onu, nel 1919. E poco importa che Roosevelt avesse combattuto a Cuba con ardore, impeccabile nella divisa tagliata dai famosi Brooks Brothers.
I giurati scandinavi hanno da tempo una passione per il partito democratico Usa, accesa dall'antipatia per i rivali repubblicani. Il premio 2002 andò a Jimmy Carter, in sfregio ai preparativi di Bush figlio per l'attacco all'Iraq. E nel 2007 Al Gore fu ripagato della Casa Bianca perduta nel 2000 con un Nobel di pace «ecologica».

Bene lo spirito dunque ed elegante la reazione del presidente Obama. Resta che un premio dato a chi ha appena cominciato, e non a chi ha già realizzato, il faticoso percorso verso la pace, è un errore, molto grave. Che creerà non pochi problemi al giovane leader americano. Con astuzia, perfino se volete con un filo di malizia, l'augusta giuria prova a legargli le mani. Con due guerre in corso, in Iraq malgrado i progressi del generale Petraeus, e in Afghanistan dove i talebani restano all'offensiva, Obama dovrà adesso muoversi con l'aplomb dell'«uomo di pace»: cosa farà quando sarà l'ora di attaccare davvero?

Davanti all'Iran che minaccia il nucleare, potrà la Casa Bianca ripetere, come ha fatto finora tra i gridolini di orrore dei media europei, di «non poter escludere la carta militare» senza che l'alloro venga ritirato, o messo in dubbio? E dopo un attentato sanguinoso? Gli americani han subito capito il rischio, i repubblicani irridenti, «premio a uno showman», i democratici preoccupati come il commentatore liberal E.J. Dionne, «prematuro». Era meglio aspettare che, sul campo e in diplomazia, Obama passasse dalle buone intenzioni alle vittorie serie. Speriamo che gli austeri signori del Nobel, se carenti in saggezza, portino almeno fortuna. A Obama ne servirà tanta.

gianni.riotta@ilsole24ore.com

10 Ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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