Sia l'Autorità garante della concorrenza ( Antitrust) sia il presidente dell'Associazione studi legali associati (Asla) sono contrari a riconoscere agli avvocati l'esclusiva della consulenza legale stragiudiziale. Dopo averlo appreso, mi è affiorato il ricordo di quell'episodio del film L'oro di Napoli nel quale Edoardo De Filippo, pregiudicato incallito, riceveva i clienti nel suo studio al Rione Sanità per dare loro consigli legali sull'atteggiamento da tenere in varie circostanze processuali e non. M'è sembrato allora che non può essere questa la libertà che si vuole assicurare nelle prestazioni di consulenza legale stragiudiziale e che vadano tenute in conto le seguenti considerazioni.
In un'economia di libero mercato, infatti, quest'ultimo - non sembri un paradosso - è tanto più libero quanto più è regolato. Si è liberi di intraprendere qualunque attività ma per esercitarla - a tutela della comunità - bisogna avere requisiti morali e tecnici. Si può svolgere attività finanziaria o bancaria ma si devono avere certi requisiti, controllati eventualmente anche con esami (promotori o intermediari finanziari, banchieri, soci di banche o di Sim ecc.). Si può essere sindaci o revisori di società che fanno appello al pubblico risparmio (ad esempio quotate in Borsa) ma bisogna avere determinati requisiti morali e tecnico-professionali. E gli esempi potrebbero continuare.
La conclusione è identica, per tutte le attività professionali tipiche, nell'interesse e a protezione della comunità. Tanto più se si tratta di un avvocato il cui ruolo - di rilievo costituzionale - è quello di garante dell'attuazione dell'ordinamento (coattiva con il giusto processo, spontanea con la spiegazione della legge per ottemperarvi e non infrangerla). Lo stato s'assicura - con gli esami - il controllo dei requisiti tecnici di un avvocato; l'Ordine controlla l'esistenza e la permanenza dei requisiti morali, l'assolvimento dei propri doveri.
La direttiva dell'Unione Europea (n. 5 del 16 febbraio 1998) prevede che l'avvocato di uno dei paesi unionisti possa prestare in un altro paese dell'Unione attività di consulenza legale particolarmente sul diritto del proprio paese, quello internazionale, quello comunitario e quello del paese ospitante. È ovvio che questa disposizione sarebbe stata del tutto inutile se quest'attività fosse consentita liberamente a chiunque. Questa disposizione è stata contestata dal Gran Ducato del Lussemburgo il quale ha eccepito che, nell'interesse della comunità e della giustizia, avvocati non iscritti negli albi professionali del Lussemburgo non potessero offrire consulenza legale sul diritto di questo paese non avendo la necessaria competenza. La Corte di giustizia europea, con la sentenza del 7 novembre 2000 nella causa C-168/98 Gran Ducato del Lussemburgo/ Parlamento europeo-Consiglio dell'Unione europea, ha riconosciuto che è interesse della giustizia e della comunità che l'attività di consulenza legale sia prestata da avvocati competenti ma ha salvato la disposizione (articolo 5) della direttiva perché l'avvocato deve rispettare le norme del paese ospitante e in particolare quelle deontologiche. Queste, ovviamente, impongono il diritto al segreto e il rispetto dello stesso, l'obbligo di assicurarsi e - aggiungiamo quello di non accettare incarichi in materie in cui non si abbia competenza (si veda ad esempio l'articolo 3.1.3 del codice deontologico europeo).
Potrebbe mai consentirsi che alcuni pregiudicati, senza alcuno studio giuridico, aprano uno "studio legale" e diano consulenza legale stragiudiziale senza alcun controllo di qualunque genere (di competenza o morale), senza obbligo di assicurarsi e senza la protezione del segreto per i clienti che si "confessano" e chiedono pareri, per cui essi sarebbero tenuti a raccontare tutto al magistrato che li interroga? Qui non è in discussione la libertà di concorrenza ma la necessità che la prestazione legale possa essere data professionalmente soltanto da un avvocato. Si citano, a sproposito, i grandi studi legali internazionali, costituiti in forma societaria ma non si dice che la prestazione è sempre data da un avvocato il quale è anche tenuto a osservare le regole deontologiche dell'Ordine e del paese al quale appartiene. S'intende che anche gli altri professionisti (commercialisti, notai, ingegneri, ragionieri ecc. i quali, peraltro, hanno anche studi giuridici) possano dare la consulenza legale occasionale nel loro campo professionale.
Credo che nel nostro nuovo ordinamento professionale opportunamente proposto dal Consiglio nazionale forense, e che dovrà essere discusso e approvato dal nostro parlamento, il testo adeguato di un articolo potrebbe essere il seguente: «Sono funzioni esclusive dell'avvocato, salve la competenza dell'Avvocatura dello stato e degli altri professionisti iscritti in albi e le eccezioni previste da leggi speciali, la consulenza legale professionale e la rappresentanza e assistenza difensiva in tutti i procedimenti contenziosi ».