La sua superficie leggermente ricurva si inflette a diventare un cono in corrispondenza di un "sacello" apogeo, illuminato come il Pantheon- da un oculo zenitale.
Una lunga rampa e una scala lo raggiungono, creando un percorso di meditazione, mentre la superficie a livello del suolo diventa uno spazio per cerimonie segnato da una sottile asta in acciaio armonico che si muove dolcemente con il vento. «Un'asta- dice Zucchi- , non un portabandiera. Un'asta vuota che somiglia a una canna, a oggetti conosciuti, lasciati un po' incompleti. Se ci vogliono mettere una bandiera, potranno farlo». Zucchi vuole favorire meditazioni individuali e libere, non imprigionare in un simbolo un sentimento unico da replicare milioni di volte. Gli piace il confronto con il cinema americano degli anni Cinquanta. «Era una macchina perfetta del sentimento preinstallato: sapeva determinare con precisione il momento in cui commuoveva, quello in cui faceva piangere e quello in cui faceva ridere. Non c'era spazio per un sentimento individuale. Come l'arte del clown che ricorre a mezzucci per suscitare sentimenti stereotipati ».
La riflessione cammina sul confine fra antico e moderno. «Comunicare un sentimento collettivo attraverso una forma fisica - dice Zucchi - oggi non è facile. La caduta delle convenzioni figurative rende spesso muto il linguaggio dell'architettura e i tentativi individuali di espressione diretta, per esempio ricorrendo al simbolo, sono spesso sguaiati o ermetici». Un po' come quelle torri-landmark proposte in un concorso a Dubai (Zucchi era in giuria) dalla forma di gabbiani o di cavalli rampanti. «Nel '700 Etienne-Louis Boullée abbandona il classicismo anche nell'arte funeraria, scardina il rapporto fra antico e contemporaneo. Quando il moderno tocca il tema del simbolo diventa sguaiato». Meglio il silenzio. «Non essendoci un catalogo di simboli, meglio puntare a creare condizioni».
Zucchi definisce per astensione, sottrazione, negazione una «architettura non prestazionale», ma il Memoriale è inevitabilmente, in positivo, un luogo di identità collettiva. «Un luogo in cui tutti gli italiani possano riconoscersi», dice l'originaria proposta del Sole 24 Ore. Zucchi non si sottrae. «Abbiamo bisogno - dice di luoghi comuni, in senso letterale, come media statistica di sentimenti individuali. Riconosco questo bisogno. L'importante è che non si pensi agli italiani come a un gruppo o a una categoria da difendere a ogni costo dall'interno, prescindendo dalle loro qualità morali. Il comportamento concreto dei soldati italiani in queste missioni, il loro rapporto con le popolazioni locali può unire il sentimento di molti senza usare la retorica».
Un luogo che vada oltre la cronaca. «Passata la cronaca, non ci ricordiamo l'episodio che ha generato un monumento: nel corso del tempo non resta un simbolo, ma l'adeguatezza dello spazio a creare un certo stato mentale». Proprio il tema ambientale segna il passaggio dal monumento- scultura a un rapporto diverso con il suolo e con la topografia, che si rivolge non solo agli occhi, ma al corpo. «Un rapporto più tattile e meno ottico, bisogna celebrare un evento sovradimensionale ».
Un Memoriale deve quindi essere un contenitore. Solo un contenitore. «Un calice divino, capace di trovare il giusto tonoe carattere per favorire stati contemplativi anche non di parte, capace di far incontrare sentimenti anche politici e religiosi diversi ». La missione della città, la sua ragion d'essere storica, è favorire questo incontro. «Il bello della città è che raccoglie insieme. Non ci sarebbe Roma, altrimenti, ma tanti campi fortificati».
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