Nell'anno terribile della crisi finanziaria, una crisi essenzialmente made in Usa estesa anche all'Europa, i rapporti transatlantici sono nel complesso migliorati. Senza particolare rancore per le defaillances economiche del sistema americano, gli europei hanno salutato la leadership di Barack Obama, guardano con più fiducia a Washington, vedono con favore e auspicano un rilancio del ruolo degli Stati Uniti. Anche se su temi specifici, Afghanistan e Iran, restano differenze sensibili. Sono questi alcuni risultati di Transatlantic Trends - il sondaggio annuale sponsorizzato dal German Marshall Fund, dall'italiana Compagnia di San Paolo e da due fondazioni bancarie iberiche - che rappresenta ormai un termometro annuale dell'opinione pubblica americana ed europea (con attenzione anche alla Turchia), attraverso più di 13mila interviste condotte nel corso dell'estate sul tema centrale dei rapporti transatlantici.
Le risposte dell'edizione 2009 mettono in risalto, tra l'altro, una diversa valutazione degli effetti della crisi finanziaria ed economica.
L'impatto è stato sentito diversamente sulle due sponde dell'Atlantico. Tre americani su quattro, il 74%, dicono di avere avuto la famiglia colpita dalla crisi, mentre solo poco più della metà degli europei si dichiara colpito. Una maggioranza del 54% pensa inoltre negli Stati Uniti che la mano pubblica abbia speso troppo per contrastare la crisi finanziaria ed economica, mentre in Europa mediamente solo il 24% lo crede, con punte minime dell'8% in Italia e in alcuni paesi dell'Est europeo. E sono più gli americani che non gli europei, 43% contro 37%, ad auspicare legami economici più stretti fra Stati Uniti ed Europa. Sempre sulla crisi, il sondaggio rileva che gli italiani sono fra i più preoccupati, il 90% contro una media europea dell'86, e i più convinti della necessità di un ruolo europeo per fronteggiare la situazione. Pochi, sulle due sponde, i favorevoli a misure protezionistiche per difendere i mercati interni: solo un sesto degli americani e degli europei le vede con favore.
Preoccupazione forte e comune, impatto effettivo della crisi più sensibile negli Stati Uniti che in Europa. I risultati del sondaggio confermano quindi, nella percezione degli intervistati, una realtà effettiva che ha visto, ad esempio, il crollo dei valori immobiliari molto più marcato negli Stati Uniti - mediamente - che non nell'Europa continentale, e una perdita finanziaria complessiva delle famiglie molto più forte. Gli stabilizzatori automatici europei hanno, in varia misura, funzionato.
L'effetto Obama si è fatto molto sentire. «Il presidente può contare su un credito straordinario da parte della pubblica opinione europea e americana», osserva Angelo Benessia, presidente della Compagnia di San Paolo. Anche qui con vari distinguo. Da un lato, la maggioranza degli europei ha un giudizio favorevole degli Stati Uniti, molto rafforzato nell'ultimo anno con la nuova presidenza, assai più positivo però nell'Europa occidentale che non in quella orientale (77% degli europei a favore contro il 19% nell'ultimo anno di G. W. Bush); dall'altro però l'approvazione delle politiche seguite da Obama è assai più alta in Europa (77%) che non fra i suoi elettori (56%).
Quando si scende nello specifico, in politica estera in particolare, le differenze si fanno a volte acute. Il consenso europeo per la missione Nato in Afghanistan si riduce, con quasi due terzi degli europei negativi sulla possibilità di stabilizzare il paese dell'Asia centrale. Oltre i 50% degli europei occidentali e quasi il 70% di quelli orientali chiedono il rientro delle truppe, mentre il 63% degli americani si dichiara ottimista e solo il 30% chiede una riduzione e un ritiro delle truppe. Sull'Iran e i suoi programmi nucleari, uguale dicotomia: solo il 29% degli europei, a fronte del 47% di americani, è favorevole a mantenere aperta l'opzione della forza.