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POLITICA ECONOMICA / Scelte utili contro l'incertezza

di Giacomo Vaciago

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11 agosto 2009

Il peggio è di certo passato. Il crollo dell'attività industriale - senza precedenti nella storia dell'umanità - si è arrestato a marzo. Dopo una caduta del 25% in sei mesi, l'industria mondiale è in ripresa da aprile, e tutto indica che la ripresa è in corso. Tutto bene, allora? Non proprio, perché questa buona notizia non basta a dissolvere l'enorme incertezza che ancora avvolge la futura evoluzione dell'economia, nel mondo e da noi.

Chi legge con cura il Bollettino della Bce di luglio si accorge che la parola più usata è "incertezza", e più in generale che l'analisi è caratterizzata dall'uso di verbi tutti al condizionale: «effetti positivi potrebbero derivare»; «la ridotta inflazione dovrebbe continuare»; «le politiche dovrebbero sostenere»; e così via. È evidente in altre parole che ancora non sappiamo davvero come questa crisi andrà a finire, e neppure sappiamo con certezza che cosa sia avvenuto e stia avvenendo. Nel mondo e soprattutto da noi (visti anche gli ultimi dati della produzione industriale in Italia). Non a caso, con l'abituale fiuto politico il nostro ministro dell'Economia ha definito tutte queste "previsioni" semplici "congetture". In termini più rigorosi, diremmo che vengono così definiti scenari possibili invece che scenari probabili.
In passato era frequente leggere che una certa previsione aveva una data probabilità di verificarsi. Ad esempio, che era prevista una crescita del Pil del 3% con la probabilità del 98% che quel valore fosse sbagliato solo di un punto percentuale. In altre parole, nel 98% dei casi la crescita stessa sarebbe stata comunque compresa tra il 2 e il 4 per cento.

Saltati i modelli tradizionali e/o in presenza di shock senza precedenti, non siamo più in grado di definire quelle probabilità: l'incertezza è tale da consentirci al massimo d'individuare solo gli estremi del campo di ciò che è possibile. Ad esempio, oggi diciamo che l'anno prossimo la ripresa ci sarà, e che l'aumento possibile del Pil sarà quindi compreso tra zero e due. Dopo di che, i pessimisti penseranno e diranno zero, mentre gli ottimisti penseranno e diranno uno o due. E solo fra un anno sapremo chi aveva ragione. Sempre che nel frattempo non avvengano nuovi shock e quindi cambi ancora lo scenario possibile.
Il vero problema a questo punto è come si fa a fare politica economica, se c'è tanta incertezza. In proposito, si confrontano tre principali possibiltà.

La prima soluzione riprende un teorema ben noto della macroeconomia, dovuto all'economista americano William Brainard. Il teorema (del 1967) recita che la dimensione ottimale dell'intervento è inversamente proporzionale all'incertezza: meno sai, e meno fai. È il tipico comportamento di chi è molto avverso al rischio: nel dubbio, non fare nulla. O di chi ritiene di avere vincoli molto stingenti: avendo già un grande debito pubblico, non possiamo rischiare di spendere molto di più se poi quei soldi non sono efficaci.
La seconda soluzione è più utile. Si propone di fare solo quegli interventi utili anche in condizioni di grande incertezza, perché vengono attivati solo se e quando servono. Pensiamo a tutta l'area degli stabilizzatori automatici che entrano in funzione in relazione al bisogno. Riguardano tradizionalmente l'occupazione (come nel caso della Cassa integrazione guadagni) ma possono essere estesi, sempre con logiche di tipo assicurativo, a una classe di eventi ben più ampia che va dalle perdite aziendali alle sofferenze sui crediti, e così via. Con questa logica, l'incertezza è meno grave perché sono comunque ridotte le conseguenze negative degli eventi peggiori (se si verificano!).

La terza soluzione, infine, è la più ambiziosa perché vuole direttamente ridurre l'incertezza e non solo contrastarne le conseguenze negative. Ciò richiede che le previsioni, o le congetture, siano trasformate in obiettivi e che a tal fine la politica economica semplicemente faccia tutto ciò che serve per garantire il risultato. Facile a dirsi, ma perché allora non lo facciamo? La ragione è semplice: quando la crisi è non solo grave ma globale - come lo è la contrazione dell'industria, che in tutto il mondo si è verificata a partire dal settembre scorso - allora il problema vero non è dato dall'incertezza, ma dalla sovranità.
In altre parole, ciascun livello di governo nazionale è insufficiente di fronte alla dimensione del problema e quindi, se non c'è un "gioco cooperativo" che porti a unire le forze di ciascun governo, i provvedimenti adottati avranno efficacia ridotta il cui integrale diventerà significativo solo molto lentamente. Alla fine, ne usciremo: è solo incerto il quando! Questa essendo la situazione odierna, è anche chiaro perché a livello nazionale solo la seconda alternativa prima vista è quella utile. Su questa strada ha incominciato a mettersi anche il nostro governo ed è auspicabile che continui.

11 agosto 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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