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LA MANO VISIBILE / E ora il Cencelli di razze, religioni province e regioni

di Alessandro De Nicola

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11 aprile 2010

Mai sentito parlare del senatore Menendez? No? Non fatevene un cruccio, rappresenta il New Jersey al senato degli Stati Uniti ma non ha mai fatto qualcosa che potesse catturare la pubblica attenzione in Italia. Salvo una, forse. Il senatore infatti ha appena lanciato un'indagine conoscitiva per sapere la composizione etnica dei consigli di amministrazione e del top management delle più grandi imprese americane incluse nella lista Fortune 500. Scopo dell'iniziativa è di avere numeri precisi su come le minoranze vengono rappresentate nella stanza dei bottoni delle corporation statunitensi. Invero, benché gli ispanici costituiscano ormai circa il 14% della popolazione Usa, si stima (molto approssimativamente) che la loro presenza nei board sia pari solo a circa il 2% dei componenti. Meglio va ai neri: 13% degli abitanti, 7,5% degli amministratori. Inoltre, il sondaggio intende capire quante ditte fornitrici delle 500 società di Fortune siano gestite da minoranze.

E le imprese che si rifiuteranno di aderire? Il senatore Menendez ha promesso di fare i nomi dei recalcitranti che impediscono alla comunità dei latinos di capire quanto essi siano rappresentati nel management. Se la stessa ricerca l'avesse fatta un'università non ci sarebbe stata un'esposizione dei riluttanti, i quali verranno implicitamente additati al pubblico come omertosi o insensibili alle diversità se non addirittura razzisti. È una situazione delicata: un politico utilizza il suo pulpito per fare la morale e velate minacce a dei privati.

Ora, Menendez ha in mente solo i latinos, ma in un paese come gli Stati Uniti le etnie sono numerose, a cominciare dagli americani di origine asiatica. Ci sono poi le differenze religiose: ebrei, musulmani, cristiani di ogni credo. Non dimentichiamoci le preferenze sessuali, il genere (compreso chi ha cambiato sesso) e la provenienza geografica: le peculiarità sono molteplici. Inoltre un segmento di popolazione composto in gran parte di giovani e di immigrati di prima generazione, con minore educazione, ha naturalmente meno esponenti in posti dove in genere vanno persone mature e istruite. Insomma, le variabili sono tante e in più non dicono niente sull'unica caratteristica che dovrebbe contare qualcosa: il merito individuale.

Perché parliamo di questo caso? Perché anche a casa nostra, in forme diverse, si respira la stessa aria: dagli auspici che un veneto diventi direttore generale di Unicredit (se nato a Sirmione - Brescia, Lombardia - un eventuale candidato dovrebbe mangiarsi le mani), alle proposte che gli insegnanti lombardi siano preferiti nell'assegnazione di posti nelle scuole lombarde, le cronache pullulano di esempi. Immaginiamoci però una società in cui tutto sia assegnato in ragione della propria provenienza, età, sesso, preferenze sessuali, religione, etnia, lingua e così via: vivremmo in un incubo da manuale Cencelli permanente, ove la concorrenza sarebbe soffocata dall'appartenenza e il merito perderebbe davanti al tribalismo, senza contare i casi a metà tra il tragico e il comico in cui un individuo appartenga a diversi gruppi (il lombardo nero, transessuale, ultrasessantenne e buddista avrà più punti della sarda trentenne con gli occhi a mandorla e luterana?).

L'Italia è il paese dove i protetti tengono fuori gli esclusi soprattutto quando sono bravi e grazie ai loro talenti potrebbero beneficiare l'intera comunità: l'ideologia della casta, ricordiamocelo, è più feroce proprio con i poveri e gli svantaggiati i quali possono contare solo sui loro meriti per migliorare la propria condizione.

11 aprile 2010
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