Ieri all'università di Roma Tre si è conclusa una vicenda accademica tipica dei mali dell'università italiana.
Secondo un'incredibile clausola del bando di concorso, nell'era di internet e dell'email, i titoli e la domanda dovevano essere consegnati a mano al preside della facoltà. Agli addetti ai lavori lo scopo era chiarissimo: sincerarsi che facessero domanda meno persone possibili, per non compromettere l'esito del concorso, già noto con largo anticipo.
Scopo raggiunto: per ciascuna cattedra si presentano solo tre candidati oltre ai vincitori. Senonché, mentre la vincitrice Valeria Termini, direttrice della Scuola superiore della pubblica amministrazione, da anni non svolge attività di ricerca e ha un curriculum accademico limitato, i candidati della cattedra di economia sono di assoluto valore internazionale, con pubblicazioni sulle migliori riviste scientifiche del mondo.
Questo non esclude che la vincitrice abbia altre validissime competenze, e sicuramente la sua nomina verrà difesa con il solito argomento che è portatrice di un sapere "più pratico". Molto convenientemente, questo tipo di sapere non è mai sottoposto alla valutazione della comunità scientifica internazionale, consentendo così di giustificare qualsiasi operazione.
Per la cattedra di economia, la verità è che in nessun dipartimento che aspiri a posizioni di prestigio si sarebbe potuto procedere alla nomina di un candidato con queste caratteristiche. Per la cattedra di diritto rilevo solo che l'unico candidato senza un curriculum aggiornato disponibile su internet è il vincitore Giuseppe Marini.
Come in moltissime vicende accademiche italiane, non possono mancare altri due aspetti che ancora una volta è doveroso citare non per animosità personale ma per dare un quadro completo della vicenda: le parentele accademiche e la politica. Valeria Termini è moglie di Salvatore Biasco, professore di Economia alla Sapienza ed ex deputato Ds; Giuseppe Marini è figlio di Annibale Marini, anch'egli professore universitario ed ex presidente della Corte costituzionale considerato vicino ad Alleanza nazionale.
In qualsiasi paese moderno nessun esponente accademico si sarebbe esposto in una vicenda così imbarazzante: la tradutio manuale dei titoli, la clamorosa disparità di valore scientifico di vincitori e sconfitti, le parentele, il cerchiobottismo politico. Inoltre, rettore e preside, e l'intera università con loro, avrebbero perso molto di più in immagine e prestigio di quanto avrebbero guadagnato in altre dimensioni.
Perché questa totale indifferenza? Il motivo è sempre lo stesso: nell'università italiana si procede solo per anzianità, nessuno paga per le scelte sbagliate e nessuno viene premiato per operare bene. Che io promuova un premio Nobel oppure l'amico o il parente, il mio stipendio e la mia carica continuano esattamente come prima.
La seconda lezione è che il rinnovamento dell'università non verrà mai dal suo interno. La riforma ha dato molto potere ai rettori, concedendo loro di mantenere di fatto il controllo del consiglio d'amministrazione. Ma quanto avvenuto a Roma Tre dimostra che alcuni rettori probabilmente non meritano questa prova di fiducia.
La terza lezione è che il rinnovamento non verrà neanche dal ministero. In Italia, negli ultimi anni era praticamente impossibile trovare le risorse per nuove posizioni da professore ordinario. Per Roma Tre il ministero ha voluto trovare risorse per addirittura due posizioni: tutto il resto è poi avvenuto sotto la sua finestra.
roberto.perotti@unibocconi.it