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C'era una volta la grandeur

di Dominique Moïsi

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11 Febbraio 2010

Nel tetro panorama dell'Unione Europea, messa alle strette da una crisi finanziaria ed economica che perdura, la Francia dovrebbe brillare come un faro di relativo ottimismo. Nel paese di Colbert il concetto che l'interventismo statale è parte della soluzione più che del problema non è stato forse avallato e riconfermato? Dopo tutto, infatti, è stato un massiccio intervento statale a salvare il mondo da una finanza senza limiti.
La Francia in questa crisi se la sta cavando decisamente meglio della maggior parte dei paesi a lei vicini, con la sola possibile eccezione della Germania. Per capire quanto sono privilegiati ad avere uno stato produttivo e forte a livello internazionale, con infrastrutture moderne e servizi pubblici invidiabili - a cominciare da un servizio sanitario nazionale che, per quanto non sia più ciò che era fino a non molto tempo fa, resta tuttora un modello di grande efficienza e umanità, specialmente per chi ritorni in Francia dopo un soggiorno relativamente lungo negli Usa - è sufficiente che i francesi rivolgano lo sguardo verso Spagna e Grecia.
Ciò nonostante, esiste un'unica parola che ben descrive l'attuale stato d'animo del paese ed è dépression. I francesi sono profondamente perplessi e dubbiosi circa il loro futuro individuale e collettivo. Per qualche tempo hanno avuto l'impressione di cavalcare l'onda della globalizzazione, ma adesso non ne sono più tanto sicuri. Fino a ieri alcuni ritenevano che la globalizzazione coincidesse con l'americanizzazione del mondo, mentre oggi la maggior parte dei francesi assiste a un'"asiatizzazione" dell'economia globale, nella quale le carte da sempre in mano alla Francia paiono non avere più alcun valore. Di conseguenza, si registra una considerevole perdita di fiducia nella competitività della tecnologia e della cultura francesi.
Nessun altro paese, eccezion fatta forse per il Regno Unito, conferisce altrettanta importanza al proprio ruolo internazionale e alla propria immagine all'estero. La nostalgia per quella che era un tempo "una grande nazione" è tuttora molto sentita. La pompa e la gloria della repubblica monarchica del Regno Unito si traducono in Francia in una sorta di malinconia per l'epoca in cui Luigi XIV, il Re Sole, regnava a Versailles.
Trent'anni fa il presidente Valéry Giscard d'Estaing osò suggerire che la Francia era diventata una «potenza mondiale di medio livello». Secondo alcuni, quella spiacevole verità da lui proferita divenne una delle molte ragioni per le quali fu sconfitto da François Mitterrand nel 1981.
Ai francesi non piace sentirsi dire la verità. Oggi nessuno negherebbe una diagnosi simile. In privato un ministro francese afferma con una punta di provocazione che, singolarmente presi, paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna per il resto del mondo sono diventati quello che la Slovenia è per l'Europa. Si tratta di un'esagerazione, naturalmente, che nondimeno rivela molte cose della mentalità prevalente oggi in Francia.
Che si tratti di alta tecnologia o di cultura, in Francia vi è la fastidiosa sensazione che il passato sia meglio del presente, per non parlare del futuro! Quale sarà lo status della Francia in un mondo globalizzato non più dominato dall'Occidente? Aver ceduto il passo agli Stati Uniti è una cosa, ma che accadrà con la Cina?
Areva, uno dei gioielli dell'industria francese, di recente ha perso un'importante commessa commerciale ad Abu Dhabi, assegnata a un'azienda coreana. L'industria nucleare da sempre era considerata in Francia un simbolo dell'eccellenza competitiva: com'è possibile che sia stata sbaragliata da un paese asiatico? A prescindere dalla risposta, la "vittoria coreana" è stata percepita da molti francesi come la prova tangibile che i tempi stanno cambiando: dal settore dell'energia nucleare a quello dei treni ad alta velocità la Francia non regna più incontrastata.
Se dalle tecnologie ci si sposta alla cultura, la sfida in corso appare ancora più immane. La Francia sta tuttora combattendo una guerra molto coraggiosa contro il monopolio della lingua inglese, ma se c'è un'altra lingua europea ad aver tratto beneficio dalla globalizzazione è sicuramente lo spagnolo, tenuto conto della crescente importanza che ha acquisito l'America Latina. Per quanto riguarda infine il contributo di artisti, scrittori o registi francesi alla cultura mondiale - una questione soggettiva e assolutamente opinabile, naturalmente - la sensazione generale è che gli anni 50 e 60, dal cinema (la "Nouvelle vague") alla letteratura (con Albert Camus, per esempio), siano stati sicuramente gli anni della creatività francese, molto più degli anni 90 o di questo primo decennio del XXI secolo.
Perfino l'Unione Europea - il tramite col quale perseguire gli obiettivi francesi con altri mezzi - non è più quella che era. Etichette rassicuranti non riescono a nascondere il fatto che la Francia, più di ogni altra cosa, è rimasta delusa dalla Germania. Questa, infatti, è diventata una "seconda Francia", e non si vergogna di perseguire i propri interessi nazionali in modo ancor più provinciale di quanto non abbia mai fatto la Francia. Al vertice sul cambiamento del clima di Copenhagen, gli americani e i cinesi hanno polemizzato tra loro, ignorando i leader europei e l'Unione nel suo insieme, malgrado quest'ultima abbia cercato di dar prova di un comportamento coeso e responsabile.
  CONTINUA ...»

11 Febbraio 2010
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