ITALIA

 
 
 

 
HOME DEL DOSSIER

21 Marzo 2010

20 Marzo 2010

19 marzo 2010

18 Marzo 2010

17 Marzo 2010

12 Marzo 2010

11 Marzo 2010

10 Marzo 2010

9 Marzo 2010

8 Marzo 2010

7 Marzo 2010

6 Marzo 2010

4 Marzo 2010

3 Marzo 2010

2 Marzo 2010

1 Marzo 2010

28 Febbraio 2010

27 Febbraio 2010

26 Febbraio 2010

25 Febbraio 2010

24 Febbraio 2010

23 Febbraio 2010

20 Febbraio 2010

19 Febbraio 2010

18 Febbraio 2010

17 Febbraio 2010

16 Febbraio 2010

14 Febbraio 2010

13 Febbraio 2010

12 Febbraio 2010

11 Febbraio 2010

10 Febbraio 2010

9 Febbraio 2010

8 Febbraio 2010

7 Febbraio 2010

6 Febbraio 2010

5 Febbraio 2010

Pessimi i saldi allo shopping delle regole finanziarie

di Joseph Stiglitz

Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
11 febbraio 2010

Negli anni prima della crisi assistevamo a una corsa al ribasso, con i paesi che competevano fra di loro a chi aveva la regolamentazione più "snella". L'Islanda ha vinto la corsa, ma a perdere poi sono stati gli islandesi. Con le conseguenze di questi insuccessi che continuano a manifestarsi e le discussioni sul nuovo regime normativo che proseguono, il problema del coordinamento globale ha conquistato il centro della scena.
In ogni paese le banche minacciano di trasferire la loro attività altrove in caso d'introduzione di norme più stringenti (o addirittura se gli viene chiesto di farsi carico di una parte dei costi che hanno imposto agli altri). La finanza moderna è un'industria senza vincoli geografici, e questo rende la minaccia, almeno in parte, credibile. Se la normativa è diversa nei diversi paesi, c'è un rischio reale di "shopping normativo". Con la finanza che si trasferisce nel paese peggio regolamentato, c'è il pericolo che permangano i problemi che caratterizzavano il sistema finanziario globale prima della crisi.
Queste sono alcune delle ragioni alla base del consenso sulla necessità di un coordinamento globale. Ma i passi avanti nella creazione di un efficace regime normativo mondiale sono stati assai lenti. Il Financial Stability Forum, creato a questo scopo dopo l'ultima crisi finanziaria globale, ha fatto poco, palesemente troppo poco per prevenire una crisi ancora peggiore di qui a dieci anni. A questo organismo attualmente è affidato il compito di guidare la comunità internazionale verso un nuovo regime normativo. Il G-20 magari spera che cambiare nome da Forum a Board e aggiungere qualche membro in più possa bastare a fare la differenza, ma io non ci conterei. Forse chi credeva nel mantra della liberalizzazione, all'origine della crisi e della sua rapida diffusione, ha imparato la lezione, ma spesso non è così facile cambiare la mentalità. Ci sono altri motivi per essere pessimisti sulla possibilità di giungere in tempi rapidi a un coordinamento efficace a livello globale. Le priorità sembrano divergenti.
La Francia e il Regno Unito mettono l'accento sugli incentivi, gli Stati Uniti sui rischi dell'attività di compravendita titoli in proprio. Mervyn King, il governatore della Banca d'Inghilterra, e la maggior parte degli studiosi hanno messo in guardia dai pericoli d'istituti di credito troppo grandi per essere lasciati fallire, troppo intrecciati per essere lasciati fallire o troppo correlati per essere lasciati fallire, ma nessun governo del G-20 ha voluto indisporre le sue grandi banche sollevando questi problemi, almeno fino al momento in cui il presidente Obama ha proposto, un anno dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, di fare qualcosa. Mancano ancora proposte efficaci per affrontare il problema dei derivati, strumenti complessi, poco trasparenti e venduti fuori Borsa.
Ogni paese analizza le proposte e valuta gli effetti che queste possono avere sulla competitività del proprio sistema finanziario; l'obiettivo, troppo spesso, è quello di trovare un regime normativo che intralci i concorrenti, più che le proprie aziende. La politica è sempre locale, e almeno negli Stati Uniti e in molti altri paesi la finanza è un soggetto politico importante. Aggiungendo a questo le profonde differenze filosofiche (anche se può sembrare sorprendente, c'è ancora chi crede nei mercati senza vincoli) il risultato è che gli unici accordi facili da raggiungere sono quelli che implicano il minimo comun denominatore, o quelli dove i piccoli paesi non siedono al tavolo delle trattative; e perfino in questi casi la vittoria si raggiunge dopo grande fatica, come dimostrano gli sforzi per affrontare il problema dei paradisi fiscali.
Considerando le difficoltà di arrivare a un coordinamento a livello globale, insistere su questa strada rischia di portare alla paralisi, ed è proprio quello che vogliono quei banchieri che non vogliono la regolamentazione. Ecco spiegato perché proprio loro sono diventati fra i massimi sostenitori della necessità di un'azione a livello globale.
Ma ogni paese ha la responsabilità di garantire la sicurezza e la stabilità del proprio sistema finanziario e della propria economia, e di proteggere i propri cittadini. I leader cominciano a capire (in alcuni casi spronati da elettori giustamente impazienti) che non possiamo aspettare che arrivi il coordinamento. È molto meglio agire con decisione subito e armonizzare le strutture normative in un secondo momento. Magari non è l'ideale, ma è molto meglio dell'altra prospettiva, cioè una regolamentazione ritardata e inefficace. C'è perfino la possibilità di una "corsa al rialzo". Gli elettori americani vedono che in Europa hanno usato la mano molto più pesante sui bonus.
Anche se riuscissimo ad arrivare a un coordinamento sul regime normativo, l'esempio dell'Islanda dovrebbe bastare a far capire ai governi che non possono fare affidamento su organismi normativi di altri paesi per proteggere i propri cittadini e i propri mercati finanziari.
Inoltre, uno degli argomenti usati per salvare azionisti e obbligazionisti è stato che in caso contrario si sarebbe rischiato un disastro finanziario globale. Proprio a causa di questa minaccia è stato chiesto ai contribuenti americani di accollarsi oneri che altri avrebbero dovuto sostenere. Per impedire che una cosa del genere torni a verificarsi, l'intreccio fra le banche va sciolto, almeno in parte: è una questione di autoprotezione a cui ogni paese dovrà provvedere per conto proprio.
  CONTINUA ...»

11 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-