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Il mercato unico deve essere rafforzato con maggiore coraggio, specialmente nei settori dei servizi locali, dell'energia, delle telecomunicazioni e della distribuzione, per facilitare la ristrutturazione dell'economia europea, riallocando sia l'offerta sia la domanda tra i settori aperti al commercio e quelli chiusi. Le risorse della ricerca e della tecnologia devono essere messe in comune facilitando la trasformazione di tutta l'economia attraverso maggiore produttività.
È inutile aggirare la questione politica: mettere in comune le risorse della ricerca ha forti aspetti redistributivi tra i paesi e ancor più sensibile è condividere la responsabilità delle decisioni che influiscono sulle cause delle divergenze economiche. Ma è molto facile capire per quali ragioni i governi dell'area euro preferiscono invece limitarsi a puntare il dito contro i disavanzi pubblici dei partner più deboli, anziché affrontare direttamente le ragioni strutturali della debolezza di quei paesi. Condividere la responsabilità politica delle cause strutturali degli squilibri finirebbe per coinvolgere nello scrutinio comune anche i paesi la cui bilancia con l'estero è in surplus (Germania) e che ora sono in una posizione negoziale molto forte. E soprattutto costringerebbe tutti i paesi a sottoporre le proprie politiche del lavoro e di protezione delle imprese a un giudizio di compatibilità con le regole di un'unione monetaria. Ma le politiche con cui i governi favoriscono i propri imprenditori o i propri lavoratori sono il sancta sanctorum delle politiche nazionali. Queste forme ben celate di protezionismo sono la camera segreta in cui viene preservato il monopolio del potere politico nazionale, ognuno in base alla propria capacità e ognuno in base alle proprie preferenze ideologiche. Un sacrificio di potere che le classi di governo non hanno ancora (o non hanno più?) la statura morale e culturale per compiere.