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ETICA E CARITAS IN VERITATE - 1 / I buoni preti? Meglio degli economisti

di Ettore Gotti Tedeschi

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11 marzo 2010

Continuiamo a notare, opportunamente, una grande ansia di richiamare esigenze di etica e di fare proposte di nuovi modelli di capitalismo. Temo però che grandi soluzioni con questo approccio giuridico economico sul capitalismo o sulla responsabilità sociale dell'impresa non si troveranno. Soluzioni vere si produrranno solo se si hanno idee e progetti per cambiare l'uomo anziché gli strumenti. E questo non è un mestiere da giuristi, economisti, sociologi o filosofi. Io penso che sia piuttosto un mestiere da "buoni preti".

Sarò provocatorio, ben conscio di proporre considerazioni che non saranno condivise. L'uomo non è stato creato perché lavorasse. L'uomo è stato creato anzitutto perché pensasse. Se l'uomo non pensasse prima di lavorare, lavorerebbe senza pensare e non darebbe senso al suo lavoro. La dignità dell'uomo non sta nel lavoro, sta nel pensiero precedente al suo lavoro (la famosa canna pensante di Pascal). Se l'uomo ha un pensiero vero, forte e maturo, il suo lavoro ne trae beneficio. Con conseguenze evidenti sui modelli di capitalismo migliori.

Il capitalismo e l'impresa sono solo strumenti, inutile pretendere che siano loro "etici", etico sarà solo il comportamento dell'uomo che li usa. Inutile però pretendere dall'uomo che li usa che lo faccia dando loro un senso etico se il pensiero dominante esclude che la vita umana stessa abbia un senso. Se non ha senso la vita, neppure si può pretendere che l'abbiano gli strumenti. Così torniamo al mestiere del "buon prete" che indirettamente influenza l'azione economica, coltivando nell'uomo la Verità e la visione del bene.

La crisi economica in corso, cui continuiamo a far riferimento, non è pertanto nel modello di capitalismo adottato, è nelle idee, nel pensiero dell'uomo di questo secolo, che si trasferisce inesorabilmente nel comportamento e nell'azione economica. Non va rinnovato pertanto il modello di capitalismo, va rinnovato l'uomo. Come? Penso che non si debba aver più paura di parlare di morale vera discutendo argomenti economici. La morale non mette mai in discussione il funzionamento di modelli economici leciti poiché sono mezzi. La morale si occupa solo dei fini, ma la morale ha un fondamento su verità considerate assolute, altrimenti diventa una morale secondo le mode, mode che sono prodotte dalle infinite libertà che l'uomo ha. Da una parte si pretende che solo queste libertà, a priori, possano produrre la scoperta di una verità. Dall'altra parte si crede che solo l'accettazione della Verità produca libertà responsabili.

Se è vero che la possibile moralizzazione dell'economia debba passare attraverso laresponsabilizzazione delle persone che operano in economia, è indispensabile chiarire a quale responsabilizzazione morale facciamo riferimento. Se si è liberi di averne tante, sarà difficile convergere nel mondo globale su un criterio universale di morale comportamentale del capitalismo o di responsabilità sociale dell'impresa. Quale morale, quale responsabilità? Max Weber distingueva tra morale di responsabilità e morale di convinzione personale. Ma come si può aver vera responsabilità delle proprie azioni se non ci si crede, se non se ne è convinti? E come può questa convinzione esser stabile se non ha un riferimento assoluto?

Per queste ragioni credo che, invece di lasciar libera l'immaginazione alla scoperta di capitalismi adatti al mondo globale, sia più urgente ascoltare le parole del pontefice su come si deve rinnovare l'uomo. Studiando l'enciclica Caritas in veritate, magari con l'aiuto del famoso "buon prete", piuttosto che di un economista o sociologo supponente. Credo che sia ora di tornare a fare un po' di buona e vera morale come si faceva una volta, magari con più esempio e meno autori-tà, ma negli ultimi tempi si è esagerato nel contrario, abdicando al proprio ruolo, arrivando a confondere persino il ruolo stesso della morale, lasciandola subordinare a ogni moda culturale soggetta a continue evoluzioni, volendo mostrare apertura a morali adeguate ai tempi. Arrivando però a promuovere strumenti totalmente autonomi dalla morale stessa, come l'economia e conseguentemente l'uso del modello capitalistico.

Nella storia molti pensieri economici si sono sviluppati progressivamente sempre più indipendenti da criteri morali, ora sono i modelli di competizione globale che impongono una forma di relativismo morale in economia. Vedremo presto i risultati di come tali modelli, fondati soprattutto su differenti visioni della dignità della persona, competeranno sui mercati. Proprio per questo credo che la morale oggi non debba farsi intimidire dall'arroganza dialettica degli antimoralisti. Non si deve permettere che si continui a concedere alla morale cattiva di scacciare quella buona. Come hanno peraltro riconosciuto negli ultimi due anni tutti, pronti magari a dimenticarsene presto.

Ora siamo di fronte a tempi di austerità forzata, almeno nel mondo occidentale, ed è necessario aiutare l'uomo a riconquistare il controllo dell'economia aiutandolo a capire che la morale applicata in economia produce effetti più positivi e migliora i vantaggi competitivi. Nel frattempo è bene riflettere su quanto scrisse uno dei maggior pensatori del 900, Jean Guitton: «Si possiede interamente solo ciò a cui si è rinunciato ». È evidente il perché, se non possiamo rinunciare a qualcosa significa che quella cosa possiede noi. E questa è la storia vera degli errori fatti nell'uso dello strumento capitalistico: se non impariamo a dominare gli istinti e le pulsioni queste domineranno noi. Ecco l'esigenza del famoso "buon prete", che spero debba lavorare molto intensamente nei prossimi tempi...

  CONTINUA ...»

11 marzo 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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