La "tempesta dei debiti", che ha investito la Grecia e minaccia di estendersi ad altri paesi con uno stock di debito pubblico elevato, ha fatto aumentare la sensibilità dei mercati alla qualità e alla sicurezza dei dati ufficiali.
Un Istat più tutelato nella sua indipendenza e con un primato meglio definito nella produzione di tutta l'informazione statistica (compresi quindi quei settori in cui oggi svolge un ruolo di semplice collettore di dati prodotti da altri) sarebbe una garanzia per gli investitori e gli analisti di tutto il mondo, oltre che per gli operatori e l'opinione pubblica nazionale.
L'istituto, perno del Sistan (Sistema statistico nazionale), è un ente pubblico la cui missione è produrre dati sulla società e l'economia italiana. Un compito delicato perché da quei dati, e dalla loro interpretazione, derivano le più importanti scelte politiche. Basta pensare all'immigrazione o alla criminalità. Oppure, in economia, all'inflazione, all'occupazione, alla produzione industriale e alla contabilità nazionale (Pil, consumi, investimenti).
La sua indipendenza è garantita dalla "schiena dritta" degli uomini che la guidano e dal rispetto di chi è al potere verso un'istituzione neutrale per definizione. Si può dire che oggi, fino a prova contraria, le due condizioni sono rispettate. Al vertice dell'istituto è stato nominato nel luglio scorso Enrico Giovannini, sulle cui qualità morali e professionali nessuno nutre dei dubbi. Non solo: il suo successore sarà nominato con un nuovo meccanismo che prevede, nel voto delle commissioni parlamentari competenti, una maggioranza bipartisan di due terzi.
Quanto al governo, le reazioni talvolta sovraeccitate di alcuni ministri alla pubblicazione dei dati statistici farebbero pensare che la politica non riesce a deformare la realtà suggerendo ai tecnici gli esiti più desiderabili.
Tuttavia l'Istat è istituzionalmente sottoposto alla presidenza del Consiglio dove ha sede la Commissione per la garanzia dell'informazione statistica che vigila sulla correttezza e sulla qualità dei dati prodotti. Questo assetto non giova alla credibilità e all'autorevolezza dell'istituto che già deve scontare la naturale diffidenza dell'opinione pubblica verso le statistiche "ufficiali": un'ampia maggioranza della popolazione è convinta, come dimostrano numerosi sondaggi, che i dati siano manipolati e che siano utilizzati in modo non appropriato da chi governa o legifera.
In un assetto ideale la Commissione dovrebbe essere trasformata in una snella autorità indipendente che risponde al parlamento anziché al governo e che vigila non solo sull'Istat-Sistan ma anche sulla produzione privata di statistiche (che è abbondante e non sempre qualificata). Il suo compito istituzionale sarebbe quello di assicurare il corretto funzionamento di una funzione essenziale in una democrazia: l'informazione statistica. È vero che la proliferazione delle authority indipendenti è un fenomeno da evitare sia per i costi che in questo modo sono imposti alla collettività, sia per il rischio di conflitti e sovrapposizioni con i ministeri o altre strutture della burocrazia. Ma questa è un'eccezione degna di essere considerata.
L'indipendenza dell'Istat andrebbe inoltre definitivamente sancita spuntando l'ultima arma con cui l'esecutivo può ancora limitarla: le risorse. Con un budget standard, legato per esempio a una percentuale fissa del Pil, gli spazi per le pressioni politiche sarebbero ulteriormente ridotti, se non annullati. Per inciso, secondo gli ultimi dati disponibili, l'Italia dedica al suo istituto di statistica risorse pari allo 0,011% del Pil, contro lo 0,026% della Francia, lo 0,020% della Gran Bretagna e lo 0,023% della Spagna.
Questa piccola modifica istituzionale varrebbe doppio se fatta oggi. Ne guadagnerebbe, tra l'altro, la credibilità dei conti dello stato che valgono la metà del Pil italiano. Magari si riuscirebbe anche a sapere a quanto ammontano le operazioni in derivati sul debito pubblico che il ministero dell'Economia, qualsiasi sia il colore politico del ministro in carica, tiene accuratamente nascoste (persino alla Banca d'Italia). O quanti sono i dipendenti pubblici il cui numero è comunicato dalla Ragioneria generale con due anni di ritardo: una performance niente male nell'epoca dell'informazione e della contabilità in tempo reale. O quante sono le auto blu di proprietà dello stato, degli enti locali e degli enti pubblici. Un dato che oggi è misterioso come le storie dei templari.
È una questione di trasparenza ma è anche una questione d'efficienza del paese che non può essere gestito interpretando i dati in termini propagandistici. Non c'è più spazio per l'approssimazione, per le astuzie, per i sotterfugi: tutto deve essere limpido. Per poter prendere le decisioni che servono e per meritare la fiducia degli investitori.
orazio.carabini@ilsole24ore.com