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CONSULENZA LEGALE / Contro gli steccati serve un Albo senza esclusive

di Alessandro De Nicola

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11 ottobre 2009

In Senato è in discussione da tempo la riforma della professione forense e nelle ultime settimane il dibattito si è intensificato. I punti di contrasto sono molteplici e sono riassunti nel comunicato stampa che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha divulgato il 21 settembre: ambito di esclusiva, accesso alla professione, tariffe minime, pubblicità comparativa e incompatibilità. Sulla questione dell'esclusiva a favore degli avvocati iscritti all'Ordine pure della consulenza legale stragiudiziale è poi intervenuto sul Sole 24 Ore di ieri Franzo Grande Stevens, uno dei professionisti più noti e apprezzati della classe forense italiana.

Le voci contrarie al disegno di legge, nonostante il presunto appoggio dei mitici poteri forti, sono poche. La proposta è stata elaborata dalle organizzazioni di categoria degli avvocati e già questo è un indizio della loro parzialità. Soffermandoci, però, sull'estensione dell'esclusiva a favore degli avvocati anche all'ambito della consulenza legale stragiudiziale, il ragionamento che viene sviluppato da Grande Stevens è il seguente: per intraprendere un'attività specialistica bisogna avere determinati requisiti morali e tecnico-professionali a tutela della comunità. Questo è tanto più vero per gli avvocati il cui ruolo è quello di garanti dell'ordinamento.Come in ogni buona disputatio logica, si pone una domanda ad absurdum per confutare la posizione
avversa: «Potrebbe mai consentirsi che alcuni pregiudicati, senza alcuno studio giuridico (...) diano consulenza senza alcun controllo di qualunque genere e senza la protezione del segreto professionale?».

Purtroppo il mondo dell'economia non è definibile in termini manichei, da una parte una situazione di sregolatezza anarchica e dall'altra un'ordinata repubblica platonica della consulenza ben regolamentata tramite l'accesso alle professioni mediante esame di stato.
Credo che ciò che deve guidare il legislatore è ottenere la massima efficienza, intesa come benessere collettivo, dalle riforme che propone, facendo in modo che la consulenza legale sia accessibile ai clienti al costo minimo possibile (vale a dire avere una buona consulenza – non quella del camorrista – al miglior prezzo così da allocare efficientemente le risorse).
Ecco che allora la restrizione ai soli avvocati non ha molto senso. Gli uffici legali interni delle banche probabilmente sanno preparare i contratti di mutuo per un'operazione societaria straordinaria molto meglio del penalista che opera in provincia. Vi sono quindi in primo luogo i giuristi d'impresa (decine di migliaia di individui) che possono tranquillamente prestare servizi professionali. Possono essere ricompresi nel novero dei capaci gli avvocati degli altri paesi europei (come peraltro prevede lo stesso diritto comunitario) oppure coloro i quali si sono tolti dagli albi professionali ma non per questo hanno perso la loro competenza di consigliare il cliente. Potenzialmente tutti i laureati in giurisprudenza e, per certe materie, in economia e scienze politiche e che magari hanno lavorato presso pubbliche istituzioni, italiane o internazionali, non hanno nulla da invidiare a iscritti all'Ordine che stancamente tirano avanti qualche pratica condominiale e che sarebbero però abilitati ad assumere la difesa nei casi penali o nelle operazioni societarie del secolo.

Si vuole dare un elemento ulteriore di garanzia ( che io non ritengo particolarmente necessario)? Si istituisca un albo dei consulenti giuridici a ingresso libero per chi abbia una laurea in certe materie. In un paese in cui la giustizia funzionasse (ahimè, non il nostro), chiunque svolga una prestazione professionale intellettuale è tenuto a rispettare gli standard previsti dal Codice civile e può essere chiamato a rispondere della sua negligenza. Insomma, Eduardo de Filippo nelsuo studio del Rione Sanità non garantiva la stessa sapienza di Bartolo da Sassoferrato, ma parimenti si può dire di un altro assai titolato avvocato della nostra tradizione letteraria: «All'avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle». Parola di Azzeccagarbugli

11 ottobre 2009
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