La condanna a morte emessa da una corte di Teheran a tre manifestanti che si erano opposti alla controversa rielezione del presidente iraniano Mahmud Ahamdineajd è l'ennesima sanguinaria risposta degli ayatollah a ogni tentativo di dialogo che arriva dall'Occidente. Tutto può essere utilizzato. Propaganda, rappresaglie, tribune internazionali. Quando non basta si colpiscono gli oppositori interni. Il solo sentore che la manifestazione per l'anniversario dei trent'anni dall'occupazione dell'ambasciata americana, una storica violazione del diritto internazionale, potrebbe essere utilizzata dagli oppositori interni come cassa di risonanza delle proteste ha indotto gli ayatollah a reagire per intimorire il popolo. Teheran è a un bivio: la politica della mano tesa presuppone che la controparte, prima o poi, risponda all'offerta facendo a sua volta delle concessioni. Invece la dirigenza iraniana si arrocca, annichilisce lo stato di diritto, manda alla forca gli oppositori e continua ad arricchire l'uranio clandestinamente. Teheran gioca d'azzardo. Ma non è vanificando gli sforzi di dialogo che costruisce il suo futuro.