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L'Irap zavorra il volo delle Pmi oltre la crisi

Di Guido Tabellini

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11 ottobre 2009

Può sembrare paradossale, ma forse il peggio della stretta creditizia per le piccole e medie imprese italiane potrebbe arrivare proprio ora che l'economia reale sta cominciando a riprendersi. Nei mesi passati, infatti, la crisi finanziaria e l'allungamento nei tempi dei pagamenti hanno coinciso con il crollo della produzione, e quindi con una minor domanda di credito per finanziare il capitale circolante. Con la ripresa, salirà anche la domanda di credito delle imprese. Ma le banche sono poco capitalizzate e temono ancora le perdite sui crediti. Come evitare che la mancanza di credito bancario possa strozzare le imprese e rallentare l'uscita dalla crisi?
È questo l'interrogativo di fondo che sta dietro la polemica sulla mancata sottoscrizione dei cosiddetti Tremonti bond e i suggerimenti di destinare queste risorse al finanziamento delle imprese. L'esigenza di aiutare la ripresa economica con provvedimenti di sostegno alle imprese è importante, e non va accantonata. Purché si rispetti un principio di fondo: la scelta di chi merita di essere finanziato o sostenuto, con credito, partecipazioni azionarie o altri strumenti, compete alle banche e al mercato, non alla burocrazia dei ministeri né tantomeno alla politica. Finanziamenti diretti alle imprese da parte di organi statali a condizioni agevolate probabilmente non sarebbero accettati dall'Unione europea, perché in contraddizione con le regole sugli aiuti di stato. Ma anche se lo fossero, possiamo star certi che verrebbero dati alle imprese sbagliate, e non a chi ne ha veramente bisogno. L'analisi del rischio di credito è un esercizio complesso, che non può essere sottratto alla competenza degli intermediari specializzati.

I provvedimenti attuati finora per attenuare la stretta creditizia rispettano questo principio. Penso in particolare ai fondi di garanzia, che riducono il rischio di perdite sui prestiti concessi dalle banche, lasciando tuttavia a queste ultime la decisione ultima sull'allocazione del credito. Questo strumento è stato ampiamente utilizzato e potrebbe essere utilmente potenziato.
I consorzi di garanzia dei fidi (confidi) si sono dimostrati efficaci nel canalizzare i flussi finanziari verso le piccole e le medie imprese, perché hanno una conoscenza capillare del territorio e delle sue specificità. Tuttavia anche in questo caso occorre che la burocrazia degli enti pubblici locali si astenga dall'intervenire direttamente: i confidi di natura privata gestiti dalle associazioni di categoria e dalle associazioni professionali, anche se ancora troppo piccoli e frazionati, sono stati più efficienti nella valutazione del merito di credito, rispetto a quelli amministrati dalle regioni. Potrebbe essere utile promuoverne l'aggregazione, mantenendoli però come soggetti autonomi di natura privata.

Tutte queste cose non bastano, tuttavia. Finora la politica economica ha fatto troppo poco per alleviare l'impatto della crisi sulle imprese, soprattutto quelle medio-piccole e più esposte ai mercati internazionali. In pochi mesi il loro fatturato è crollato di un terzo, in alcuni casi della metà. Anche se il peggio è passato, la ripresa della domanda internazionale sarà lenta, e per tornare ai livelli di produzione raggiunti a fine 2007 dovremo aspettare anni.

Il Fondo monetario internazionale stima che l'output gap (la differenza tra produzione effettiva e potenziale) si chiuderà solo nel 2014. Non possiamo permetterci di stare a guardare senza far nulla, tanto più se, come è probabile, la ripresa dell'economia italiana sarà ulteriormente rallentata dal progressivo apprezzamento dell'euro rispetto al dollaro e alle valute asiatiche a questo legate.
La priorità è agire sul lato dell'offerta. Il vuoto aperto dalla caduta della domanda internazionale, infatti, difficilmente può essere colmato da provvedimenti di sostegno alla domanda interna. Vi è un ovvio strumento per ridurre i costi di tutti le imprese (e non solo di quelle con maggiore influenza politica): è la riduzione dell'Irap. Questa è un'imposta che le imprese sono costrette a pagare anche se in perdita. Inoltre, i limiti alla deducibilità degli interessi passivi sono espressi in percentuale della redditività; in momenti di crisi come l'attuale, il limite si innalza e la deducibilità si riduce. Abbattere l'Irap, riducendone l'aliquota o la base imponibile, ridarebbe fiato alle nostre imprese e ne aumenterebbe la competitività. Lo ha appena fatto la Francia, perché non farlo anche noi?

La risposta ovvia è che la Francia non ha il nostro debito pubblico. Ma è una risposta che non convince pienamente. La perdita di gettito di oggi potrebbe essere compensata da provvedimenti di contenimento della spesa con effetto differito nel tempo, o da riforme istituzionali che rendano più credibile l'impegno al rispetto del vincolo di bilancio intertemporale. Anche qui vi è un paese europeo da prendere a esempio: è la Germania, che per dare credibilità al rientro dal debito ha approvato una legge costituzionale che, a partire dal 2016, proibisce al governo federale di avere un disavanzo strutturale superiore allo 0,35% del Pil.

  CONTINUA ...»

11 ottobre 2009
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