L a discussione che si è aperta sull'«agenzia per il Sud» o sulle cosiddette «gabbie salariali» ha sollevato il velo su un punto cruciale. Non c'è dubbio che si sta creando un'anomalia: la dialettica che si sviluppa di solito tra maggioranza e opposizione si svolge invece quasi tutta all'interno della coalizione di governo. Il partito del Sud, che esiste solo come gruppo di pressione, e il partito del Nord - ossia la Lega, ma anche settori del Pdl - litigano, si scontrano, fanno la pace. Ma tutto avviene dentro il perimetro della maggioranza.
Pierluigi Bersani, il candidato favorito alla segreteria del Pd, non ha torto quando afferma che «sul Mezzogiorno stanno emergendo le prime, serie crepe nel centrodestra». È così, ma la circostanza non dovrebbe rallegrare un esponente del centrosinistra, visto che al momento il Partito Democratico è del tutto escluso dal dibattito. Ciò dipende, come sappiamo, dal travaglio pre-congressuale. Il principale partito d'opposizione è tutto ripiegato sulle sue beghe interne e non riesce a inserirsi con tempismo ed efficacia nella polemica politica.
In ogni caso, qualunque sia il motivo, il centrodestra basta a se stesso. Recita le due parti nella commedia: il governo e l'opposizione. Bossi è un maestro del doppio binario e lo dimostra quasi ogni giorno. Appoggia Berlusconi, ma ci tiene a marcare a ogni piè sospinto la sua peculiare identità. Lo fa pensando alle elezioni regionali del prossimo anno e al prevedibile braccio di ferro sulle candidature nel Nord. Ma senza dubbio il capo della Lega si rende conto che la promessa del federalismo non è sufficiente da sola per mobilitare le passioni popolari. I militanti di Pontida hanno bisogno d'altro. Evocare le ronde e alludere alla cacciata dei clandestini è più efficace che prospettare i futuri, incerti vantaggi del federalismo fiscale.
Sta di fatto che in termini elettorali Bossi è riuscito a tagliare l'erba sotto i piedi del centrosinistra. A nord del Po anche il vessillo delle «gabbie salariali» serve a guadagnare consensi in un mondo che fino a ieri votava gli avversari dell'attuale maggioranza.
Quanto ai sudisti, Lombardo e Micciché hanno imparato i metodi leghisti, senza avere la forza territoriale e le radici popolari tipiche del Carroccio. Ma anche loro, a tratti, fanno opposizione al governo, pronti a firmare un armistizio non appena se ne presenta la convenienza.
Di conseguenza, l'agenzia per il Sud e le gabbie salariali sono due temi politici, ma soprattutto due simboli mediatici del conflitto Nord-Sud che si consuma all'interno della coalizione. Si consuma e si ricompone di continuo, creando di volta in volta quella dialettica maggioranza/opposizione che la sinistra non è in grado di proporre in Parlamento.
Ecco perché Bersani non ha motivo di gioire per le «prime crepe» che egli vede nel governo. È vero che Scajola dice cose molto diverse da Bossi sulle gabbie salariali; che Pisanu sulle ronde e sugli immigrati non la pensa certo come Maroni; che Brunetta ha posizioni non sempre coincidenti con quelle di Tremonti. Ma tutto questo non si risolve in una frattura della compagine governativa. Non esiste per ora una «sponda» su cui il centrosinistra può appoggiarsi per rientrare in gioco. Certo, il contrasto fra Nord e Sud può essere alla lunga distruttivo, ma solo se Berlusconi non riuscirà a gestirlo con un'adeguata capacità di sintesi.