Erano nove i figli di Joseph Kennedy e Rose Fitzgerald. Eunice, deceduta ieri a 88 anni dopo una serie di ictus, era la quinta. A differenza dei suoi fratelli John, Robert e Ted, non aveva mai vinto un'elezione alla Casa Bianca o al Senato. A differenza di suo marito, Sargent Shriver, candidato alla vicepresidenza nel 1972 e alla presidenza quattro anni dopo, non aveva neppure tentato di farsi eleggere. E a differenza di sua sorella Jean Kennedy Smith, ambasciatrice in Irlanda, non aveva mai chiesto o occupato alcuna carica politica. Eppure è riuscita a lasciare un segno fortemente kennediano. Profondo forse quanto quello dei fratelli.
La migliore dimostrazione è arrivata l'estate di due anni fa dallo stadio di Shanghai. Quando una folla di 80mila spettatori ha dato il benvenuto agli oltre 7mila atleti venuti da tutto il mondo per concorrere alle Special Olympics, le Olimpiadi per atleti con disabilità mentali. Era infatti stata lei a sponsorizzare l'idea di quella competizione oltre quarant'anni fa.
Nata il 10 luglio 1921, Eunice aveva vent'anni quando sua sorella maggiore, Rosemary - Rosie per il resto della famiglia - venne sottoposta dal padre a un intervento chirurgico noto come lobotomia prefrontale. Rosie, che era nata con una leggera disabilità mentale, rispose a quell'operazione rinchiudendosi in se stessa. E poco dopo il padre decise di ricoverarla in un'istituzione del Wisconsin, dove rimase per il resto della sua vita (e vi morì nel 2005).
Per decenni l'esistenza di Rosemary venne tenuta nascosta al pubblico americano da Joe Kennedy, che temeva potesse danneggiare l'immagine e la carriera politica dei suoi figli. A rompere quel tabù fu Eunice, che era sempre rimasta vicina alla sorella anche nel periodo in cui il padre aveva dato ordine che non la si andasse a trovare. Nel 1962, con un articolo sul Saturday Evening Post, Eunice informò gli americani che il loro giovane e brillante presidente aveva una sorella «ritardata». E con quel suo gesto unilaterale contribuì forse più di chiunque altro a cambiare il modo con cui l'America si relazionava con le persone afflitte da disabilità mentali.
«Era un'altra Kennedy che aveva scelto di non godersi la vita, lasciando che gli interessi dei capitali di famiglia si accumulassero», ha commentato ieri Mike Lupica, opinionista del New York Daily News. «Come i fratelli, in modo tutto suo, anche lei ha dedicato la vita agli altri. Ed è riuscita a cambiare il mondo lottando per i più deboli».
Nel 1946, s'impegnò attivamente nella prima campagna elettorale di suo fratello John, quella per un posto di deputato alla Camera. Nel 1947 venne assunta dal Dipartimento della Giustizia come segretaria esecutiva di un programma di prevenzione della delinquenza giovanile. Nel 1950 lasciò quel posto per fare l'assistente sociale in un penitenziario femminile in West Virginia, e l'anno dopo, trasferitasi con il marito a Chicago, andò a lavorare in un carcere giovanile municipale.
Fu a Chicago, nel giardino di casa, che iniziò un campo estivo per bambini disabili che fu precursore delle "sue" Special Olympics. «Ero a casa quando mi chiamarono due donne per dirmi che ai loro figli non era stato concesso di partecipare ai programmi estivi municipali», ricordò lei stessa in una rara intervista di tre anni fa. «Mi arrabbiai. E dissi: è ora di finirla».
