L'idea l'ha lanciata per primo il premio Nobel per la letteratura, José Saramago: Spagna e Portogallo dovrebbero unirsi in una federazione, formando un solo stato. La fonte non sorprende. Saramago è un portoghese sui generis: moglie spagnola, vive in Spagna e detesta il suo paese di nascita.
Il Portogallo è indipendente dalla corona di Spagna dal 1143 e da allora, salvo l'intermezzo 1580-1640, i due paesi sono sempre stati separati. Il movimento iberista, sorto nel secolo XIX con le stesse aspirazioni di Saramago, non ha avuto seguito. I portoghesi guardano agli spagnoli con un complesso d'inferiorità e un certo risentimento, gli spagnoli ai portoghesi tutt'al più come un'irrilevanza.
Colpisce quindi che, in un sondaggio appena pubblicato dall'Università di Salamanca, il 40% dei portoghesi si dichiari a favore di un'unione iberica e, secondo un'altra inchiesta, la motivazione sia, a larghissima maggioranza, economica, nella convinzione che lo sviluppo economico sarebbe superiore in combinazione con la Spagna. L'unione del Portogallo con la Spagna (per la quale peraltro solo il 30% degli spagnoli esprime favore, e già questa appare una percentuale sorprendentemente alta) andrebbe non solo contro la tendenza degli ultimi due decenni, in cui molti più nuovi stati sono nati, soprattutto per lo scioglimento dell'Unione Sovietica e della Jugoslavia, di quanti si siano uniti (unica eccezione di rilievo, e con motivazioni ben più forti, la Germania). Ma, al contrario delle ragioni addotte dagli intervistati dai sondaggi, sembra andare anche contro le ragioni dell'economia.
In un saggio del 2003 (The size of nations, Mit Press), Alberto Alesina ed Enrico Spolaore spiegano che le dimensioni dei paesi sono determinate da due forze contrapposte: le economie di scala chiedono stati più grandi, mentre l'eterogeneità delle preferenze dei cittadini li vorrebbe più piccoli. Le aree in cui è un vantaggio avere uno stato più grande, dicono i due economisti italiani che lavorano a Boston, sono soprattutto difesa e mercato interno. Né l'uno né l'altro caso si applicano alla penisola iberica: Spagna e Portogallo non sono di fronte, per il futuro immaginabile, a minacce di guerra. E l'adesione all'Unione Europea li rende già oggi entrambi parte di un mercato unico ben più grande della somma dei due mercati nazionali.
L'apertura del commercio internazionale è proprio, secondo Alesina e Spolaore, quel che altera l'equilibrio fra i pro e i contro di uno stato più grande, a favore di uno più piccolo. Del resto, anche per quel che riguarda lo svantaggio dell'eterogeneità delle preferenze dei cittadini, la Spagna è già alle prese con quella di baschi e catalani, senza bisogno di aggiungerci i portoghesi.
Oltre tutto, se l'economia portoghese è da tempo stagnante, quella spagnola ha subito più pesantemente i colpi della crisi. Insomma, secondo la logica economica, questo matrimonio non s'ha da fare. Con buona pace di Saramago.