La riforma delle professioni torna tra i temi forti dall'agenda politica. Considerati gli innumerevoli tentativi di arrivare al riordino dell'assetto delle attività intellettuali è lecito chiedersi se il nuovo "tavolo" di confronto tra il Guardasigilli e ben 25 professioni regolamentate porterà davvero a qualche risultato.
In effetti, ci sono molte ragioni perché, questa volta, un risultato possa essere finalmente raggiunto.
Il momento è certamente favorevole a un'intesa: l'attuale ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sembra non avere pregiudiziali verso il mondo professionale e i professionisti sanno bene che non conviene a nessuno irrigidirsi su elementi secondari.
Non vi sono poi problemi insolubili, alcuni appaiono addirittura stramaturi.
Penso, ad esempio, al riconoscimento delle società di professionisti dotate di capitali adeguati. È sufficiente sia accettato il principio che queste società non possano evolvere in società controllate da soci di solo capitale, cosa fattibile attraverso opportune norme tecniche.
Quanto alla pubblicità, è oggi follia non consentire ai professionisti qualche forma di pubblicità, utile ormai, tra l'altro, alla loro individuazione specialistica.
Ancora, penso alla questione – molto dibattuta in passato – del riconoscimento delle associazioni professionali accanto agli ordini. Anche in questo caso si tratta di una questione sulla quale l'intesa non dovrebbe essere così complessa.
Per esempio, potrebbe essere accettata la vecchia idea del "doppio universo" (ordini più associazioni), assegnando alle associazioni la tutela degli interessi degli iscritti, agli ordini quella dei comportamenti, cosa in gran parte già esistente nell'assetto attuale.
In realtà le professioni italiane hanno bisogno di tranquillità e di allargamento intelligente delle proprie funzioni.
Dopo essere state lungamente contrastate, corrono il rischio di un collasso economico. Questo rischio si sconfigge con il lavoro paziente e con una ricucitura che le rimetta in gioco, avendo cura di chiedere di poter svolgere nuove attività attraverso le quali recuperare la propria economia e il prestigio sociale, specie in favore dei giovani.
Vi sono molti ambiti di azione pubblica che non riescono a farcela, presentano inefficienze e ritardi. Le professioni sono un'ottima via per assorbirli e dimostrare che possono funzionare.
Altre attività possono derivare dal desiderio di adeguarsi alle richieste della popolazione anche in campi vicini al proprio.
Ritengo dunque che per le professioni sia il momento di arrivare a un risultato per quanto riguarda la parte legislativa, e di pensare realisticamente e senza alcuna acrimonia al proprio futuro nel migliore senso economico-funzionale.
Sono certo, d'altronde, che il ministro della Giustizia Angelino Alfano è consapevole di tutto ciò e d'altronde conosce l'importanza del lavoro professionale nella fase economica presente. L'intesa, dunque, non dovrebbe essere difficile.