L'attacco rivolto dalla Lega contro il Cardinale di Milano Tettamanzi - accusato di essere solidale più con gli immigrati che con i poveri nati in Italia - non è solo figlio di quella brutalità di toni di cui i dirigenti della Lega fanno spesso sfoggio. In realtà è solo l'ultima manifestazione di quella forma di "secessione sociale" che ispira ormai da tempo l'azione della Lega, le cui proposte tutte vanno nella direzione di "separare".
Separare gli italiani: le gabbie salariali per differenziare i salari del Nord da quelli del Sud; l'esame di dialetto agli insegnanti per introdurre un filtro discriminante nella scuola; i concorsi pubblici locali riservati ai nativi; "Va pensiero" di Verdi anziché l'inno di Mameli per dividere il paese nei simboli dell'identità.
E separare gli italiani dagli stranieri: i tram per soli immigrati; l'esclusione delle famiglie extracomunitarie dalle graduatorie per l'accesso agli alloggi popolari e agli asili nido; le classi per soli bambini immigrati; l'erogazione ai lavoratori stranieri soltanto del 50% della cassa integrazione riconosciuta alle aziende in crisi.
L'obiettivo finale della "Padania libera" non è accantonato. Si è scelta soltanto una strada diversa: visto che la secessione istituzionale non appare immediatamente percorribile, la si prepara promuovendo una secessione "sociale" che allenti i vincoli di coesione, di solidarietà, di comune appartenenza. Così, se ognuno si rinchiude nel proprio giardino, all'ombra del proprio campanile, sarà più facile domani spiegargli che si può stare soli, separati da tutto.
È una strategia insidiosa perché fa leva sulle inquietudini e sulle paure di un'opinione pubblica che nel Nord manifesta un sentimento di crescente "estraneità" verso l'Italia, le istituzioni e la politica. Un'estraneità fondata sulla convinzione - diffusa anche in una parte non piccola degli elettori di centro-sinistra - che Roma, i partiti nazionali, le istituzioni statali non siano in grado di comprendere, né di soddisfare le esigenze del Nord.
Lì, infatti, dinamiche e tendenze che investono l'intera società italiana si presentano più intense e con più alto impatto sociale. Nel Nord è concentrato il 70% di quel lavoro dipendente privato che, nella crisi, non vede sufficienti risposte alla maggiore precarietà propria e dei propri figli. Nel Nord opera il 65% di quel lavoro autonomo, che spesso si sente non riconosciuto nella sua fatica quotidiana di investire, produrre, esportare. Dal Nord parte oltre il 70% di quelle esportazioni che sollecitano migliaia di nostri imprenditori ogni giorno a comparare il dinamismo, l'efficienza, la rapidità che trovano in Germania, in Cina, in Brasile con le lentezze, le inefficienze, le sclerosi burocratiche di casa nostra. Vengono dai redditi del Nord 2/3 di un gettito fiscale percepito come iniquo e oneroso non solo da artigiani o professionisti, ma anche da tanti lavoratori dipendenti. E nel Nord vive già oggi una percentuale d'immigrati doppia rispetto alla media nazionale, con impatti demografici, sociali e culturali più visibili e forti.
A questa società, alle sue ansie e aspettative la Lega offre una risposta fondata sulla separatezza, radicando l'idea che da soli si può fare meglio e prima. Non è così naturalmente, perché in un mondo globale farsi più piccoli rende soltanto più fragili. Ma tant'è: questa è la sfida che le forze democratiche devono vedere e con cui devono sapere fare i conti, dotandosi di una strategia e di proposte che raccolgano le domande del Nord. E con la consapevolezza che una società cresce non se la si divide, ma se la si tiene unita nell'uguaglianza dei diritti e dei doveri, delle responsabilità e delle opportunità.
* Parlamentare PD
www.pierofassino.it