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L'ITALIA DEI TERRITORI / Se il Sud fa rete l'innovazione vince

di Carlo Trigilia

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12 Dicembre 2009

Si può mettere a fuoco meglio l'immagine del Sud guardandolo dal basso, dal lato delle imprese che riescono a innovare? Forse sì, perché anche nel Mezzogiorno lo sviluppo passa sempre di più dall'innovazione.
Le imprese innovative nel Mezzogiorno ci sono, ma sono meno numerose che nel Centro Nord (includono circa il 20% del totale, contro il 33%). Naturalmente, lo scarto si allarga ancora se si tiene conto della minor presenza complessiva di imprese nel Sud. E tuttavia si trovano attività innovative di rilievo, fondate specialmente nell'ultimo ventennio da imprenditori giovani e più istruiti - e anche da imprenditrici - che si muovono con successo sui mercati internazionali (lo mostra, per esempio, una recente ricerca della Fondazione Res).
È significativo che questa nuova generazione imprenditoriale sia molto più sensibile agli ostacoli posti dall'ambiente esterno: inefficienza e "favoritismi" della pubblica amministrazione, carenza di infrastrutture e servizi. Insomma, a differenza delle imprese più tradizionali, quelle innovative sono più esposte alla concorrenza nei mercati internazionali e appaiono anche più critiche nei riguardi del funzionamento del sistema pubblico. Quali indicazioni se ne possono trarre per comprendere le difficoltà di crescita dei settori più innovativi nel Sud?
Occorre riconoscere che l'intervento pubblico nelle regioni meridionali, invece di sostenere la crescita delle attività aperte al mercato e all'innovazione, è finito per diventare esso stesso il problema. Nel senso che il suo funzionamento - pur con differenze da non trascurare tra diversi contesti - comprime lo spazio del mercato, e quindi riduce gli stimoli all'innovazione che vengono dalla concorrenza. In effetti, gli addetti all'industria manifatturiera e ai servizi alle imprese rispetto alla popolazione sono meno della metà che nel Centro Nord.
Tradizionalmente, l'intervento pubblico è stato sollecitato e giustificato per affrontare le arretratezze economiche e sociali sedimentatesi storicamente nelle regioni meridionali. Tuttavia, le modalità concrete di tale intervento hanno ostacolato la crescita del mercato per due motivi principali. Anzitutto, hanno drenato manodopera ed energie imprenditoriali verso il settore pubblico e para-pubblico (per esempio la sanità convenzionata); in secondo luogo hanno privilegiato i trasferimenti e la spesa corrente a scapito degli investimenti in infrastrutture e servizi, necessari per sostenere le attività di mercato. A questi fattori si è poi aggiunta, in alcune regioni, una spinta da parte delle istituzioni locali e regionali alla modernizzazione delle attività criminali, specie con le infiltrazioni nel campo degli appalti e delle costruzioni.
È dunque evidente che le possibilità di sviluppo attraverso l'innovazione passano inevitabilmente da un radicale cambiamento della qualità dell'intervento pubblico e dalla riduzione dell'area della rendita politicamente protetta (come ha ben sottolineato Ivan Lo Bello sul Sole 24 Ore del 25 novembre). Tuttavia, guardare dal basso all'innovazione che c'è fa intravedere degli spazi di manovra che possono incoraggiare il cambiamento.
Chi si è messo già sulla strada dell'innovazione ha in genere utilizzato delle strategie organizzative che aprono alla collaborazione con altri soggetti, sia radicati nello stesso territorio che più lontani. Ciò non sorprende perché sempre di più l'innovazione è un processo sociale e non solo aziendale, che richiede la collaborazione tra soggetti diversi: la formazione di reti con una rilevante componente locale. Ne discende che anche al Sud - contrariamente a un'immagine diffusa - collaborare è possibile, vincendo la diffidenza circa i rischi dell'interazione con altri soggetti. Non a caso la sfiducia verso le forme d'organizzazione a rete appare minore in chi ha investito in queste relazioni e le pratica effettivamente.
La migliore conoscenza e la diffusione di tali esperienze, anche in direzione del mondo dell'università, possono aiutare le generazioni imprenditoriali più giovani in due direzioni. Possono contribuire a rompere il tradizionale isolamento delle imprese meridionali sul terreno economico, e quindi aumentare la loro capacità di contrastare gli ostacoli e le diseconomie esterne attraverso la costruzione di reti per l'innovazione. Ma possono anche contribuire a rafforzare la società civile meridionale, a far crescere una domanda politica nuova di beni collettivi piuttosto che di benefici particolari, riorientando in questa direzione anche l'azione delle organizzazioni di categoria.
Primi segnali significativi sono venuti sul terreno della lotta alla criminalità, specie in Sicilia, ma c'è uno spazio rilevante per un diverso orientamento verso le istituzioni che non chieda protezioni e rendite, ma beni collettivi per sostenere chi vuole misurarsi con i mercati innovando. Insomma, per questa via il mondo imprenditoriale radicato nel mercato potrebbe dare un contributo rilevante alla formazione di una nuova classe dirigente più responsabile: una condizione certo non sufficiente, ma sicuramente indispensabile per lo sviluppo.

12 Dicembre 2009
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