Non è facile fare l'inventario delle opere d'arte sequestrate nell'ultima settima a Calisto Tanzi e ai suoi parenti e affini. Diciannove, venerdì scorso, custodite in cantine e soffitte di parenti più o meno prossimi. Dodici ieri nella casa del medesimo Calisto. Quattro nell'atelier di un mercante d'arte. Ben ventisei, ma di valore inferiore alle altre, nel caveau della villa della figlia Francesca nella campagna di Parma. Quadri per un valore di una cinquantina di milioni di euro che erano stati visti da collezionisti, critici d'arte, curatori di mostre. Quadri di cui tutta Parma conosceva l'esistenza e che erano nascosti in luoghi non propriamente a prova di Arsenio Lupin o d'investigatore accorto. Stupisce che per arrivare al sequestro conservativo di queste opere riconducibili al patrimonio del principale accusato del crack finanziario della Parmalat, 14 miliardi di euro di buco, ci siano voluti sei anni e la denuncia della trasmissione televisiva Report. C'è da augurarsi che la ricerca di eventuali altri beni sottratti al valore dell'azienda possa avvenire con uno zelo più attento all'obiettivo che ai media. Nell'interesse degli azionisti e degli obbligazionisti truffati.