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OLTRE LA CONSULTA / Un think tank aperto a tutti per integrare l'islam italiano

di Khaled Fouad Allam

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12 Febbraio 2010

Chi pensa che il Comitato per l'islam italiano non sia altro che la rinascita, sotto nuova veste, della Consulta islamica, si sbaglia totalmente. Già nella sua nota di presentazione del Comitato, infatti, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha messo in evidenza come l'esperienza della Consulta in realtà si è conclusa, e che oggi bisogna definire un altro approccio alla delicata questione dell'islam.
Nessun esperto può contestare questo nuovo approccio, perché nel panorama europeo la gran parte delle esperienze consultive, che hanno cercato di aggregare le diverse sensibilità che caratterizzano le comunità musulmane, si sono di fatto concluse in parziale fallimento. Si è chiarito così, in relazione all'islam come nuova religione di minoranza nel panorama europeo, il limite di ciò che chiamo "volontarismo di stato": non essendovi nell'islam istituzioni di tipo ecclesiastico, risulta difficile per uno stato inventarne una, perché ogni volta che si riconosce un'istituzione rappresentativa, se ne fa avanti un'altra che vuole delegittimare la prima. Tutto ciò succede essenzialmente per due motivi.
Il primo è che nell'islam della diaspora scompare il perno intorno al quale i musulmani si strutturavano, vale a dire lo stato di origine; perciò nell'immigrazione i musulmani tendono a strutturarsi o su una valenza etnico-nazionale, oppure su una valenza ideologica, come ad esempio i Fratelli musulmani o il Tabligh (di origine pakistana). Il secondo motivo è che, in Italia come nel resto d'Europa, l'islam è un fenomeno inedito come religione di minoranza, ma i cui fedeli sono destinati a divenire minoranze nazionali; si pensi ai maghrebini in Francia, agli indo-pakistani in Gran Bretagna, ai turchi in Germania: gran parte di essi sono già cittadini dei paesi d'accoglienza, e lo stesso accadrà in Italia nei prossimi anni.
Come rispondere a questo fenomeno? Come promuovere un islam italiano attraverso nuovi strumenti? La creazione del Comitato - voluto dal ministro Maroni, dal sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano e dall'onorevole Souad Sbai - vuole rispondere a questa complessa problematica. Affiancare esperti di diversa formazione a musulmani che hanno a cuore la promozione di un islam italiano dovrebbe funzionare come una specie di think tank, un laboratorio d'idee che di volta in volta cerca di analizzare i problemi e proporre soluzioni innovative: ad esempio sulla questione del velo, sull'annoso problema della formazione degli imam, sulla protezione dei minori (matrimoni forzati, infibulazione, eccetera), sulle regole relative alle sepolture e così via.
Tutto ciò necessita un nuovo approccio che, come ha sottolineato il ministro, non deve essere ideologizzato, in un contesto che è tra i più difficili e complessi e in cui le opinioni pubbliche sono allarmate e prevenute nei confronti dell'islam. Certo, le soluzioni vanno cercate a livello nazionale, ma anche europeo, perché nella geopolitica della diaspora questi problemi sono comuni e diffusi. E di certo una visione europea aiuterebbe una migliore gestione della questione.
Saranno dunque necessari scambi di esperienze tesi a costruire delle "buone pratiche". In una questione delicata come questa, il nuovo approccio metodologico potrebbe trasformare l'esperienza in sistema, aiutando la promozione di un islam italiano nella direzione di un islam europeo. Per realizzarlo, ci vorrà molto coraggio e molta pazienza.

12 Febbraio 2010
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