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ANALISI / L'atomica tiene a bada la bomba della democrazia

di Alberto Negri

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12 Febbraio 2010

L'Iran, tre decenni dopo la caduta dello shah, rivolge all'Occidente una domanda drammatica e densa di emozioni: quale dei due volti di questo paese vogliamo guardare? Uno è quello di Ahmadinejad, che in una piazza gremita elenca i nemici del regime: Israele, gli Stati Uniti, il capitalismo. Accanto a lui, in altre piazze di Teheran, dove scorre il sangue non la retorica, c'è l'altra faccia dell'Iran, il vero nemico del presidente: il popolo dell'opposizione, un movimento che contro le previsioni prevalenti non si è ancora sgonfiato. In una piazza viene agitato il fantasma dell'atomica virtuale, per eccitare l'orgoglio nazionale persiano. Dall'altra parte la mareggiata verde, con le donne iraniane in testa, torna a innescare l'ordigno più temuto da ogni regime: quello dei diritti politici e civili di un'intera nazione.
La bomba della democrazia contro l'uranio arricchito: questa, in prospettiva, non è una faccenda che si risolve con le sanzioni. Anzi, forse i pasdaran non aspettano altro per giustificare un ulteriore giro di vite e soffocare il dissenso. Ad Ahmadinejad non serve tanto un accordo con la comunità internazionale ma un nemico certo. Ne ha bisogno anche per far passare piani economici impopolari, come il taglio dei sussidi: 100 miliardi di dollari inghiottiti ogni anno per mantenere il consenso al sistema.
L'unica sanzione davvero efficace contro Teheran sarebbe il crollo delle quotazioni del petrolio, che in Iran paga tutto: dai piani nucleari al welfare state impiantato dagli ayatollah. L'oro nero costituisce pure uno dei maggiori ostacoli alla democrazia. «Con le entrate del petrolio - spiegava qualche tempo fa il religioso Mohsen Kadivar, uno dei capi degli studenti rivoluzionari nel ‘79 - è la società che ha bisogno del governo per vivere, non il governo della società per sostenere l'economia e lo sviluppo. Per la democrazia, invece, è indispensabile la partecipazione dei cittadini».
Le sanzioni, paradossalmente, servono più all'Occidente e a un'Europa in ordine sparso per ricompattare il fronte internazionale ed evitare la questione dei diritti politici e civili: la bomba democratica pone interrogativi ben più intricati di quella atomica. È più conveniente stabilire con Teheran un clima da guerra fredda, con un muro virtuale di divieti commerciali, che agitare il rispetto dei diritti umani. Non è un caso che la più convinta difesa del regime iraniano venga da Pechino, che di Ahmadinejad è diventato il maggior partner economico.
L'Iran ci pone anche altri interrogativi. Perché questo movimento è ancora vivo, nonostante la repressione? Il motore di questa opposizione sono le donne: l'Onda verde rispecchia un cambiamento profondo. Sono state le donne, in termini di diritti, a pagare il prezzo più alto e loro hanno lottato di più per guadagnare spazio: ora sono il 60% dei laureati nelle università. Trent'anni fa ogni iraniana aveva in media 6-7 figli, oggi il tasso demografico è a livello europeo. E anche la famiglia non è più quella di un tempo. I tribunali sono affollati di donne che chiedono il divorzio, un matrimonio su cinque finisce con la separazione, un aumento di quattro volte in 15 anni. Sono questi cambiamenti, intervenuti nonostante leggi punitive sull'eguaglianza, a spaventare i conservatori: le iraniane stanno versando il sangue per i loro diritti e per quelli di tutta la società.
Alcune portano un nome famoso, come la moglie di Moussavi, ieri presa a calci dai basiji, regolarmente a fianco del marito durante la campagna elettorale. Oppure Zahra Eshraghi, la nipote di Khomeini, sposata al fratello dell'ex presidente Khatami, arrestata e poi rilasciata. La famiglia del fondatore della repubblica islamica è in gran parte schierata con l'opposizione, a cominciare dal nipote Hassan, custode del mausoleo del nonno, che quando è entrato in visita qualche giorno fa Ahmadinejad non ha voluto neppure assistere al discorso del presidente.
Quali sono le possibilità di successo dell'Onda verde? Il regime, riempiendo la piazza, ha vinto la battaglia della propaganda ma da oltre un secolo la corsa verso la libertà in Iran non è uno sprint, piuttosto una maratona: e gli esiti dell'ultima rivoluzione del Novecento potrebbero essere imprevedibili.

12 Febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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