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PROTEZIONE CIVILE / Emergenza il segno del destino di Bertolaso

di Stefano Folli

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12 Febbraio 2010
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (a sinistra) e il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso (Reuters)
IL PUNTO
di Stefano Folli

Silvio Berlusconi ha fatto quello che ci si attendeva da lui: ha difeso a spada tratta Guido Bertolaso dalle accuse che lo coinvolgono in un'inchiesta scabrosa. Per il secondo giorno consecutivo il presidente del Consiglio non ha esitato a esporsi direttamente per far scudo al capo della Protezione civile. In questi casi, il rischio maggiore per l'indagato è l'isolamento, il sentirsi abbandonato dagli amici dall'oggi al domani. Non è il caso di Bertolaso.
Gli sono rimasti vicini i suoi protettori ed estimatori politici, cui si aggiungono le migliaia di cittadini che gli hanno espresso di slancio la loro solidarietà. E fanno riflettere le parole di amicizia pronunciate dal sindaco dell'Aquila, un amministratore che ha condiviso con lui i lunghi mesi dell'emergenza e poi della ricostruzione e che non appartiene allo schieramento del premier.
Questo sentimento diffuso e sincero vorrà dire qualcosa. Non è una garanzia d'innocenza, certo, ma come diceva Abramo Lincoln «nessuno può ingannare tutti per tanto tempo». Bertolaso gode di una stima reale e ci sono le sue opere a testimoniare per lui. Per il resto, occorre attendere gli esiti dell'inchiesta con rispetto. Ha fatto bene il capo della Protezione civile a mettersi a disposizione della magistratura, evitando il corto circuito delle solite polemiche. Anche se, lo sappiamo fin troppo bene, questa vicenda è destinata a diventare l'ennesimo tassello dell'eterno conflitto italiano fra giudici e politica.
Questo aiuta a capire perché Berlusconi non ha avuto dubbi nel respingere le dimissioni del sottosegretario. Non è solo stima per l'uomo. È anche una considerazione politica cruciale. Bertolaso rappresenta la figura più significativa e simbolica della stagione berlusconiana. È il realizzatore che permette al premier di essere credibile quando si presenta come l'«uomo del fare», il modernizzatore nemico della burocrazia e delle chiacchiere inconcludenti. Se il consenso di Berlusconi nel paese è ancora alto, in buona misura lo si deve a ciò che Bertolaso è riuscito a realizzare in Abruzzo e a Napoli. Come un generale dell'antica Roma che mette a disposizione dell'imperatore il risultato delle battaglie vinte in lontane province.
Vedremo cosa emergerà dall'indagine. Quello che si conosce finora fa pensare a una storia molto brutta, nella quale però il ruolo del sottosegretario potrebbe essere marginale o insignificante. Resta il consueto diluvio delle intercettazioni, dalle quali l'immagine di Bertolaso è uscita sporcata, ma per ora non distrutta. Comunque sia, siamo nel pieno di un processo mediatico che lascia sconcertati, anche per il ripetersi monotono dei riti che lo accompagnano. Senza dubbio è singolare che un presidente del Consiglio debba intervenire in prima persona per precisare che i «massaggi» e le «ripassate» cui si accenna nelle intercettazioni si riferiscono a sedute di fisioterapia e non a quello che sembra. Ma questa è la miglior conferma di come Berlusconi ritenga strategica la difesa di Bertolaso.
La caduta dell'uomo sarebbe un colpo quasi letale al profilo pubblico del governo. E quindi al meccanismo del consenso. Per cui il premier non può rischiare che il 2010 sia l'anno di una nuova graticola a sfondo sessual-affaristico, come il 2009 fu l'anno degli scandaletti di Palazzo Grazioli. Ed è fin troppo evidente che Berlusconi vive gli attacchi a Bertolaso come se fossero rivolti a lui. In termini politici non si può dargli torto. Ne deriva quindi che le dimissioni sono state un bel gesto dell'indagato, ma non avrebbero mai potuto essere accettate a Palazzo Chigi.
La partita ormai va al di là di Bertolaso. Per vincerla, il consueto repertorio di giudizi insofferenti nei confronti della magistratura servirà a poco. Berlusconi può proteggere se stesso con il «legittimo impedimento», ma a Bertolaso conviene affrettare il giudizio e puntare a essere scagionato. Magari separando il suo destino da quello del gruppetto degli arrestati, se sarà in grado di farlo. È il miglior servigio che in questo momento può rendere alle istituzioni. La mozione di sfiducia individuale presentata da Di Pietro può persino aiutarlo. Nel senso che rende più chiara la posta politica in gioco e ricompatta la maggioranza. Tanto più che il Partito Democratico, almeno a sentire Bersani, non ha troppa voglia di farsi risucchiare in una guerra di religione intorno a un personaggio della popolarità di Bertolaso.
Anche per queste ragioni, e in attesa di fatti nuovi che definiscano meglio il quadro, sarebbe opportuno che il decreto sulla «Protezione Civile spa», oggi pendente in Parlamento, conoscesse una pausa di riflessione. Si tratta di un progetto giusto nelle intenzioni, ma assai controverso nella forma assunta. E sebbene non esista, almeno così sembra, alcun nesso tra l'inchiesta in corso e i tempi di approvazione parlamentare della nuova legge, un certo senso di opportunità consiglierebbe di rinviare il voto finale. Si potrebbe cogliere l'occasione per rendere più trasparente e solido il sistema delle regole. Che dovranno essere semplificate e snelle, non c'è dubbio, ma pur sempre tali da permettere al Parlamento, prima, e agli organi di controllo, poi, le necessarie verifiche.

12 Febbraio 2010
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