Il Salone dell'auto di Detroit ha quest'anno un sapore diverso. La voglia di celebrare la fine del peggiore anno della storia per l'industria americana delle quattro ruote - Gm è finita in bancarotta e Chrysler è stata rilevata da Fiat in corte fallimentare - è temperata infatti da un'amara consapevolezza: negli Usa come in Europa, gli aiuti pubblici che hanno sostenuto (e stanno ancora sostenendo) le vendite di auto, prima o poi finiranno e i problemi industriali che hanno portato il settore sull'orlo del baratro torneranno anche più forti di prima. Le case automobilistiche continuano a produrre più auto di quanto il mercato sia in grado di assorbire - 90 milioni contro i 60 che saranno presumibilmente venduti nel 2010 - e soffrono del peggior rendimento degli investimenti tra tutti i settori industriali. Ignorare il problema della sovrapproduzione - soprattutto a livello politico - è il rischio peggiore che corrono le case automobilistiche occidentali, i cui mercati di riferimento si sposteranno sempre più a oriente. Marchionne e la Fiat lo sanno bene, e per questo il caso di Termini Imerese è un po' la cartina di tornasole sul coraggio delle scelte di lungo periodo.