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Krugman contro Krugman

di Danna Serena

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12 gennaio 2010

Winston Churchill sosteneva che solo i fanatici non cambiano idea. Deve essersi ispirato alla sua memoria il premio Nobel Paul Krugman, visto che, a nove mesi dalla definizione di Europa «continente alla deriva», ci ripensa e sulle colonne del New York Times trasforma il vecchio continente in un modello di giustizia sociale e progresso. Si dirà che la natura strumentale della lode è chiara fin dall'inizio: il fantasma di un'Europa schiacciata da benefit e tasse è l'argomentazione preferita dai nemici di Obama per bloccare la riforma sanitaria negli Stati Uniti: «Anche i conservatori- scrive Krugman - hanno manifestato grandi preoccupazioni sulla possibilità che la Obamacare (la riforma in gergo ndr.) possa trasformare l'America in democrazia sociale all'europea». Quale soluzione migliore per salvare la riforma di bonificare l'Europa agli occhi degli americani? Et voilà: «L'Europa - scrive - è un successo economico e il suo successo dimostra una cosa: la democrazia sociale funziona». Per capirlo non bisogna leggere statistiche o dati: «Agli americani che hanno visitato Parigi chiedo: vi è sembrata povera e arretrata? E cosa mi dite di Londra e Francoforte». Anche i numeri sembrano confermare la tesi dell'economista. È vero che grazie alle politiche repubblicane, dal 1980 in avanti, gli Usa sono cresciuti a un ritmo più veloce, registrando un aumento del Pil del 3% annuo contro il 2,2% europeo, ma c'è da considerare la crescita più rapida della popolazione americana: «Dal 1980 - scrive Krugman - il Pil pro capite, quello che conta per lo standard di vita, è cresciuto allo stesso modo: 1,95% negli Usa e 1,83% nell'Europa a 15». Anche sul versante della tecnologia, essere partiti in ritardo non ha impedito agli europei di recuperare alla grande: «la banda larga è diffusa in egual maniera in entrambi i continenti, in Europa è più veloce ed economica». Anche le «favole» su occupazione e produzione sono «esagerate»: gli europei lavorano quasi quanto gli americani (Krugman afferma che nel 2008 l'80% degli adulti di età compresa tra i 25 e i 54 anni nella Ue aveva un impiego) e sono anche produttivi, vedi Francia e Germania che, pur lavorando meno ore, producono quanto gli Stati Uniti. I problemi fiscali sono praticamente identici: se la Ue ha Atene che scoppia, l'America ha Sacramento in ebollizione. Certo le tasse sono alte e i benefit troppo generosi ma bisogna sfatare il mito che tassare i più ricchi e creare sistemi di protezione per i più disagiati significhi automaticamente «mettere a repentaglio gli incentivi per lavorare, investire e innovare».

Conclusione, «l'economia europea funziona, cresce ed è dinamica almeno quanto la nostra».
Eppure in primavera lo stesso Krugman aveva bocciato l'Europa. Secondo il Nobel la cattiva risposta alla crisi aveva messo in luce la fragilità strutturale di un continente senza leadership e con una Banca centrale incapace di sbloccare il mercato del credito e troppo lenta nel taglio dei tassi di interesse. E siccome Krugman polemista, al contrario di Krugman teorico, non va mai per il sottile, l'analisi si concludeva contro la moneta unica: «Tutto questo significa che la creazione dell'euro è stato un errore?, si chiedeva. «Maybe», forse. Lorenzo Bini Smaghi, membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, che in quell'occasione rispose pubblicamente all'economista sostenendo come le sue affermazioni non fossero «sostenute dall'evidenza empirica», torna ora sul «luogo del delitto»: «Krugman - dice - dimentica che la crescita americana degli ultimi anni è stata ottenuta con un incremento dell'indebitamento, in particolare nei confronti del resto del mondo, e dunque di una riduzione della ricchezza netta, al contrario di quanto è avvenuto nell'Europa, almeno quella continentale». D'accordo Paolo Guerrieri, docente di economia internazionale alla Sapienza di Roma, che sottolinea come la «giusta causa» di Krugman, «che vuole demolire lo stereotipo di un Europa che cresce poco perché spende troppo», finisca col dare una lettura «semplicistica» del continente. «C'è un problema di reale produttività, sostiene, che con la crisi è aumentato: il potenziale di crescita è diminuito ulteriormente». Pier Paolo Padoan dell'Ocse sottolinea infatti come il ritorno alla crescita sia al primo posto nell'agenda della presidenza spagnola di turno: «Per stimolarlo - suggerisce- bisogna puntare su innovazione e crescita verde». I progetti di riforma sono sul tavolo pronti per essere attuati e commentati. Sempre che Krugman non cambi di nuovo idea.

12 gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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