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Processo tributario verso l'imparzialità

di Enrico De Mita

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12 ottobre 2009

La legge sulla struttura delle commissioni tributarie stabilisce l'incompatibilità tra la funzione di giudice tributario e l'esercizio «in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, la consulenza tributaria, ovvero l'assistenza e la rappresentanza di contribuenti (articolo 8, lettera i), del Dlgs 545/92). L'incompatibilità ricorre altresì per «coloro che sono coniugi o parenti fino al secondo grado o affini in primo grado (...) ».

È una formulazione molto ampia che non lascia trasparire una ratio sulla quale l'incompatibilità dovrebbe fondarsi. Sicché non c'è da sorprendersi che sia nato un contenzioso in sede di giustizia amministrativa che interessa i singoli giudici da una parte e l'amministrazione dall'altra, i primi interessati a conciliare il più possibile la funzione di giudice con la propria attività professionale, la seconda preoccupata sia di garantire l'indipendenza e l'imparzialità del giudice sia di dover gestire gli organici delle commissioni tributarie (motivo per cui, sarebbe opportuno ricondurre le commissioni tributarie sotto la guida del ministero della Giustizia).
In assenza di un criterio più preciso sul quale fondare l'incompatibilità, i casi controversi devono essere risolti dal Tar e dal Consiglio di Stato. Il che non sarebbe un male se i diversi orientamenti non rischiassero di compromettere la stabilità e la funzionalità delle commissioni tributarie. È stato il Tar Lombardia (III, n. 1 del 7 gennaio 2003) – al quale si era rivolto un professionista ritenuto incompatibile dal ministero dell'Economia con la carica di giudice tributario – a cercare di ricavare dalla formulazione letterale della norma citata una ratio. I giudici amministrativi hanno affermato che si può giustificare la decadenza dalla carica di giudice solo «in presenza di un'attività intellettuale, per certi versi creativa e innovativa e che miri direttamente alla tutela, in via sostanziale, degli interessi del contribuente» e hanno escluso dall'ambito applicativo ("salvando", quindi, il ricorrente) i casi in cui il professionista «si limiti a una semplice individuazione degli elementi costitutivi, modificativi ed estintivi del rapporto d'imposta». Se il Tar avesse fatto lo sforzo di far capire con maggior chiarezza i tipi di atti difensivi del diritto dei contribuenti (dichiarazione, ricorso, concordato) forse sarebbe stato meglio. Ma una formulazione in termini astratti con aggettivi come «creativa e innovativa», senza supporti normativi, non sembra delimitare concretamente la materia della incompatibilità.

Sicché ha avuto buon gioco il Consiglio di Stato (5842/09) a censurare la decisione del Tar, rilevando l'assenza di riscontri nella normativa e ricordando come «stante l'estrema latitudine della norma sancita dall'articolo 8, qualsiasi forma di consulenza tributaria deve ritenersi incompatibile con la carica di giudice tributario, senza che sia necessario verificare in concreto se il suo contenuto qualitativo o la continuità nello svolgimento compromettano il requisito della terzietà e dell'indipendenza del giudice, essendo tale puntuale verifica propria degli istituti della ricusazione e della astensione (Consiglio di Stato, 3760/07; 3951/06), per cui sussiste una situazione d'incompatibilità anche per le prestazioni rese in forma sporadica ed occasionale o accessoria a quella principale (Consiglio di Stato, 1464/04)». Insomma se la vedano i contribuenti, avvalendosi dell'istituto della ricusazione e gli stessi giudici interessati con l'astensione, sembra volere dire la sentenza. Resta il fatto che per gli iscritti agli albi che esercitano anche l'attività di giudice tributario, la decisione del Consiglio di Stato rende meno agevole la difesa nell'ambito delle sospensioni per incompatibilità.

Va però segnalato che davanti al Consiglio di Stato erano state sollevate questioni di legittimità costituzionale non prive di senso, ma senza riferimento ai principi costituzionali violati: a) irragionevolezza nel prevedere che possano essere giudici tributari anche ragionieri e dottori commercialisti, impedendo poi lo svolgimento dell'attività di consulenza fiscale; b) imporre la decadenza dall'incarico per fatto di terzo come l'iscrizione di un congiunto negli albi professionali previsti dalla norma.

Ma è stato facile per il Consiglio di Stato ritenere le questioni manifestamente infondate, rilevando che la situazione prospettata è del tutto particolare che, sebbene possa essere statisticamente diffusa, non assurge a vicenda inevitabile, anche perché il conflitto può essere risolto dallo stesso giudice ridefinendo la propria attività professionale; quanto alla seconda questione si tratta di una situazione oggettiva che, ove preesistente, può ben essere conosciuta dal giudice e, se successiva, può ben essere rimessa prima della adozione del provvedimento sanzionatorio.
Chi conosce la situazione del contenzioso tributario, la composizione delle commissioni, le diverse situazioni di incompatibilità, non si meraviglia di questo orientamento dell'amministrazione fatto proprio dal Consiglio di Stato, che si risolve, anche per difficoltà finanziarie e organizzative, in un immobilismo dove i problemi prospettati non possono essere affrontati in modo soddisfacente.

12 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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