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Default di Atene partita tutta da giocare

di Wolfgang Münchau

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13 aprile 2010

Alla fine si è raggiunto l'accordo. È arrivato tardi, e solo dopo che i mercati finanziari - e un'agenzia di rating - avevano costretto l'Unione Europea a mettere le chiacchiere al bando e la mano al portafogli. Bruxelles garantirà alla Grecia prestiti d'emergenza a un tasso di circa il 5%, inferiore ai tassi di mercato attuali. Ancora non c'è accordo sulla somma complessiva da erogare, ma da quello che ho sentito sarà molto superiore a quello che è stato detto, fra i 50 e i 60 miliardi di euro.

Non è l'accordo peggiore concepibile. L'accordo peggiore era l'idea tedesca di finanziare la Grecia ai tassi di mercato. Evidentemente i consulenti economici di Angela Merkel, la cancelliera tedesca, hanno poca esperienza nella risoluzione di crisi di solvibilità internazionali, altrimenti non avrebbero potuto insistere su una proposta tanto ridicola. Il tasso d'interesse del 5% concordato è, a mio parere, ancora relativamente alto considerando la situazione in cui si trova la Grecia, e la probabile dinamica del debito che il paese si troverà a dover fronteggiare nei prossimi anni. Tuttavia, il 5% è meglio del 7% o giù di lì dei recenti tassi di mercato per i titoli di stato biennali greci. Inoltre, la Bce la settimana scorsa ha deciso di prorogare il regime eccezionale sui titoli di garanzia, che consente alle banche che detengono titoli di stato greci di scambiarli con liquidità a buon mercato. Questo annuncio è importante e darà un po' di respiro alla Grecia e ai suoi creditori.

Sarà sufficiente per allontanare il fantasma dell'insolvenza? È importante distinguere, per un paese, l'insolvenza di breve termine, cioè l'impossibilità di rinnovare il debito esistente, dalla posizione di solvibilità di lungo periodo. Questo accordo, confido, potrà risolvere il primo problema. Come ho previsto la settimana scorsa, la Grecia per quest'anno riuscirà a evitare il default. Ma continuo a considerare valida anche l'altra mia previsione, e cioè che la Grecia alla fine andrà incontro al default. Il problema, semplicemente, è che i numeri sono brutti, troppo brutti. Lo sforzo d'aggiustamento richiesto alla Grecia sarà uno dei più imponenti della storia. Ma a differenza di altri paesi che hanno compiuto uno sforzo analogo in passato, la Grecia non ha la possibilità di svalutare, deve fare i conti con un contesto economico globale molto meno favorevole, ha un'infrastruttura fiscale debole, scarso consenso all'interno della società sulla necessità di realizzare riforme profonde e un sistema finanziario fragile. Le condizioni concordate per il salvataggio in realtà non risolvono granché, tranne che per il brevissimo periodo. Ben presto diventerà chiaro che questo accordo costituisce, al netto, un trasferimento di ricchezza da Atene a Berlino, e non il contrario.

Tutto questo sembra preannunciare in prospettiva (ma non nell'immediato) un default. È importante ricordare che il default normalmente non comporta un azzeramento totale degli investimenti fatti dai creditori, che di solito riescono a recuperare una parte del loro capitale. La mia previsione è che una qualche forma di ristrutturazione del debito greco sia inevitabile, con i creditori che vedrebbero svanire una certa percentuale del valore nominale dei loro titoli. Il tasso d'interesse del 5%, rispetto al tasso di mercato, può essere già un metro di misura delle dimensioni di una futura ristrutturazione del debito. È già abbastanza difficile immaginare che la Grecia riesca a uscire da una crisi simultanea di debito e competitività senza ricadere in un circolo vizioso di qualche genere (per esempio una deflazione da indebitamento o semplicemente una fortissima ostilità da parte dell'opinione pubblica, che frustrerebbe gli sforzi riformatori del governo). Ma personalmente mi riesce impossibile immaginare una situazione che veda la Grecia riuscire a salvarsi dalla catastrofe incombente senza procedere in qualche modo a una ristrutturazione del debito.

La Ue e le sue istituzioni non sono emerse in modo molto glorioso da tutta la faccenda. Il consiglio europeo, l'11 febbraio, ha diramato una dichiarazione politica in cui affermava la sua disponibilità, in linea di principio, a sostenere la Grecia, senza però riuscire a mettersi d'accordo su un pacchetto di misure serie. A marzo hanno lasciato intendere che un accordo era a portata di mano quando invece non lo era. In tutto il processo c'è stata molta malafede. C'è voluto un attacco speculativo contro il mercato dei titoli di stato greci per spingere Bruxelles ad adottare misure concrete, e nel frattempo i danni prodotti da quell'atteggiamento sono stati ingenti.

La linea resta comunque incoerente, e permangono molti interrogativi: per esempio, che cosa succederebbe se la Grecia non dovesse rimborsare il prestito? Il mercato obbligazionario interpreterà l'accordo come un segnale che la Ue non lascerà al suo destino chi agisce in buona fede? Oppure sceglierà di mettere alla prova la solidarietà europea con il Portogallo, e forse addirittura con la Spagna o l'Italia? Arriverà un momento in cui la Ue non sarà più nelle condizioni di correre in soccorso, anche volendo.

  CONTINUA ...»

13 aprile 2010
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