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L'Eurozona ha battuto un colpo
Adesso si apre l'era dell'austerità

di Enrico Brivio

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13 aprile 2010

Una salutare boccata d'ossigeno per Atene, un faticoso passo per la stabilizzazione dei mercati e un segnale sull'esistenza di una cooperazione europea, spesso latitante negli ultimi tempi. Ma non la risolutiva panacea, che può porre la parola fine alla tormentata vicenda del debito Grecia ed esorcizzare ogni rischio di espansione del virus a Portogallo e Spagna.

Così appare il pacchetto di aiuti di 30 miliardi messo a disposizione della Grecia dai governi di Eurolandia a un tasso attorno al 5%, con l'ausilio di altri 15 miliardi resi disponibili dal Fondo monetario internazionale. E lo conferma l'atteggiamento dei mercati che hanno reagito senza smodata euforia, ma con un ragionevole ottimismo, ridando un po' di fiato all'euro. Lo spread tra i titoli decennali greci e i Bund tedeschi si è ridotto di ben 50 punti base, mantenendo comunque a un divario non trascurabile attorno ai 350 punti base e anche i credit default swap sul debito sovrano greco sono scesi.

Ci sono voluti due summit e una mezza dozzina di incontri ministeriali e alla fine, a mercati chiusi, con un eurogruppo domenicale in teleconferenza, i governi della zona euro hanno battuto un colpo. Un colpo che permette ora al governo di Atene di presentarsi oggi sui mercati alla prima asta per il rifinanziamento del debito con una pistola carica sul tavolo. Anche se difficilmente l'arma sarà sufficiente di fronte ai mitra spianati sui mercati internazionali, in assenza di tre importanti condizioni.

In primis l'esecutivo guidato da George Papandreou dovrà sapere andare fino in fondo nell'attuazione delle misure di riduzione della spesa pubblica e delle riforme strutturali annunciate, nonostante la difficoltà di attuarle in una fase di congiuntura flebile e le pressioni sociali contrarie; secondo: ci dovrà essere da parte dell'Eurozona e in particolare di Angela Merkel segni di una disponibilità a spingersi ancor più in là, se necessario, e ad allargare i cordoni della borsa ulteriormente, concedendo eventualmente prestiti ad Atene tassi ancor più agevolati (magari dopo le elezioni del 9 maggio in Nord-Reno Vestfalia, se non sarà troppo tardi); terzo: la speculazione internazionale non dovrà accanirsi a scommettere sul default della Grecia, ma l'esito dei due primi fattori sarà determinante per il corso del terzo.
Per il momento si è evitata «una Lehman dell'euro», ha osservato con sollievo Lorenzo Bini Smaghi, membro italiano del comitato esecutivo della Banca centrale europea, sottolineando l'impegno dell'Europa, Germania inclusa, ad agire. Il campo degli accademici sulle posizioni da prendere resta diviso, come lo è stato negli ultimi mesi, ma pochi se la sentono di escludere definitivamente l'ipotesi di un parziale default di Atene.

C'è chi - come Roberto Perotti e Alberto Alesina hanno autorevolmente affermato su queste colonne - ritiene che debba prevalere un concetto di responsabilità dei paesi (con soluzione di continuità anche in caso di cambio di governo) e quindi spetti alla Grecia «che si è creata i suoi problemi» risolverseli con un draconiano piano di rientro fiscale e prepararsi comunque a gestire una crisi di parziale default.

Altri economisti, come il premio Nobel Joseph Stiglitz, (e anche il finanziere George Soros che di speculazione ne sa qualcosa) vedono anche fenomeni speculativi e irrazionali in atto sui mercati contro la Grecia e prendono in considerazione pure la responsabilità del surplus della Germania (che ha mantenuto protetti vari settori della propria economia anche nei confronti dei partner Ue) nel creare squilibri in Eurolandia. Per questo Stiglitz ritiene che prestiti a tassi agevolati da parte delle banche tedesche ad Atene «non siano un sussidio ma la correzione di una carenza del mercato».

Anche l'ex capo-economista dell'Fmi, Simon Johnson, osserva però che «è molto difficile trovare una soluzione della crisi greca che non implichi la ristrutturazione del debito». Facendo un parallelo con l'Argentina negli anni 90, Johnson ritiene che Atene sia in posizione peggiore e più indebitata. Il rischio è che nei confronti del debito greco si mettano in atto solo «temporanee e parziali soluzioni», sostiene l'economista americano, e che perciò restino alte probabilità di arrivare a un default, con contabilizzazioni in perdita del 28-30% del debito greco.

Di fronte all'incognita greca, Johnson ritiene che gli altri anelli più deboli della zona euro, Portogallo e Spagna (ma non l'Italia «che per ora non appare in posizione preoccupante») debbano dare segnali di contenimento della spesa pubblica. E del resto lo stesso Bini Smaghi ha appena salutato con favore il fatto che Portogallo e Irlanda abbiano congelato gli stipendi pubblici e la Spagna abbia varato importanti riforme. Comportamenti virtuosi che però potrebbero comprimere la domanda interna e per questo Johnson ritiene che «molta austerità sarà l'ethos in Europa nei prossimi cinque anni» e che il caso greco non porterà necessariamente al crollo dell'euro, ma rallenterà la crescita nell'area della moneta unica.

  CONTINUA ...»

13 aprile 2010
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