Il Fondo "Salva Imprese" è un'iniziativa che può contribuire a cambiare positivamente la struttura delle 15mila aziende italiane con fatturati compresi fra 10 e 100 milioni. I proprietari e le loro banche aspettano ansiosamente l'inizio dell'operatività, che però non potrà essere immediata in quanto ci sono vari ostacoli da superare.
Al di là degli aspetti regolamentari, il problema fondamentale è quello di costituire una struttura manageriale professionale di decine di professionisti per investire almeno 1 miliardo in centinaia di investimenti singoli. Non dovrebbe essere difficile attirare nella società che gestirà il Fondo molti dei professionisti competenti che esistono in Italia; la difficoltà, se mai, è di costituire una cultura omogenea e coerente con il target d'investimento e definire gli incentivi collegati alla performance del Fondo.
È presumibile che il Fondo incentiverà i propri dirigenti sulla base della performance individuale e del Fondo stesso; le persone più competenti si riconoscono anche perché sono quelle più disposte a rinunciare a parte dei compensi di oggi in cambio di maggiori incentivi domani.
Il Fondo "Salva Imprese" dovrà affrontare anche numerosi problemi di tipo operativo, che derivano dal target d'intervento; le piccole imprese sono ovviamente meno strutturate delle grandi, hanno conti meno trasparenti e un'organizzazione che confonde ruoli, competenze e relazioni all'interno della famiglia. Decidere un investimento richiede più lavoro che nel caso di imprese più grandi.
Il primo problema è quello di comprendere se il piano presentato dall'azionista di controllo, che normalmente gestisce l'impresa, ha possibilità di riuscita e sia quindi meritorio del necessario aumento di capitale. Chi gestisce un'impresa è sempre ottimista sul futuro, specialmente quando l'impresa è in crisi. Una regola generale potrebbe essere di escludere di ricapitalizzare semplicemente l'azienda, lasciando la gestione in mano a chi non ha provate competenze manageriali o imprenditoriali o ha contribuito a metterla in crisi. Purtroppo, mantenere in sella l'azionista attuale è una soluzione semplice, rapida e sovente gradita ai politici locali e alle banche finanziatrici.
Per i dipendenti, invece, è meglio avere un padrone competente, e quindi saranno molti i casi in cui la ricapitalizzazione dovrebbe essere contestuale all'ingresso di un nuovo imprenditore, per esempio mediante la fusione con un concorrente. Il Fondo dovrebbe servire a ottenere degli obiettivi altrimenti non raggiungibili quali il rafforzamento competitivo, un maggior finanziamento dell'innovazione, una maggior dimensione relativa ai concorrenti e una maggiore internazionalizzazione; tutti questi obiettivi devono esser contenuti nei piani, che però dovrebbero esser fatti meglio di quelli che siamo avvezzi a vedere quando si tratta di salvataggi. Il test di credibilità del piano è se qualcuno d'indipendente sarebbe disposto a metterci i propri soldi, o se i concorrenti fossero davvero preoccupati.
Il secondo problema è che forse l'impresa può essere salvata o rafforzata, ma non è l'attuale management quello adatto a farlo, soprattutto quando è fatto da membri della famiglia con scarse competenze manageriali. O si accetta l'inserimento di un management competente, o è meglio declinare d'investire.
Un terzo problema è quello del valore al quale si possono fare gli aumenti di capitale. Un'azienda in crisi, ma anche quasi tutte quelle che stanno sopravvivendo al contesto economico negativo, presenta un conto economico in perdita; un qualunque moltiplicatore applicato ai risultati correnti darebbe un valore prossimo allo zero, non accettabile da parte dell'attuale proprietario. Il Fondo dovrà quindi basarsi su valori patrimoniali, oppure sul cash flow degli anni "buoni" moltiplicato per un valore scontato rispetto ai parametri correnti (quindi pari a 3 o 4), al netto dei debiti onerosi.
Un'alternativa è comunque quella di realizzare l'investimento per mezzo di strumenti tipo "mezzanino", cioè finanziamenti ad alto rendimento, postergati e con modalità "bullet"; il proprietario non ha tecnicamente un socio che lo condiziona, le banche vedono una maggiore patrimonializzazione, e il redde rationem è rimandato al momento in cui il debito e gli interessi dovranno esser pagati.
Infine, esiste il problema di come un Fondo possa controllare una piccola/media azienda in cui l'imprenditore è sempre stato abituato a fare di testa propria, utilizzare ampiamente il nero, non distinguere fra la cassa dell'azienda e quella della famiglia e non rispettare quasi mai gli interessi legittimi degli azionisti di minoranza. I contratti parasociali, per quanto ben congeniati, nulla possono se si scontrano con inveterate abitudini e interessi divergenti. Qui "si parrà la nobilitade" del Fondo, perché trovare la quadratura del cerchio in questo campo darebbe un significativo contributo all'aumento della professionalizzazione delle nostre imprese, in modo da metterle in grado d'affrontare successivamente ulteriori traguardi di sviluppo internazionale.
Certamente non mancheranno le opportunità d'investimento.