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IDEE / Nella Rete c'è quello che siamo

di Luca De Biase

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13 gennaio 2010

Nello stanzino di Remo Bodei, a Pisa, poco prima della sua partenza per Los Angeles. L'architettura dell'università invitava a sintonizzarsi con la lunga durata della cultura, l'arredamento denunciava la limitatezza delle risorse destinate alla ricerca filosofica, il computer sulla scrivania ricordava l'urgenza delle domande. Che cosa diventa la memoria nell'epoca di internet? Che cosa succede alla ricerca, alla filosofia, allo stupore? Come cambia il modo di pensare di chi si immerge nella rete?

Pisa è uno dei centri della cultura informatica italiana, grazie a un dono di intelligenza di Enrico Fermi che, nel 1954, suggerì di investire i 150 milioni messi a disposizione dell'università dalle autorità locali, come riporta Pietro Maestrini, nella costruzione di una calcolatrice elettronica: «Costituirebbe un mezzo di ricerca di cui si avvantaggerebbero in modo, oggi quasi inestimabile, tutte le scienze e tutti gli indirizzi di ricerca». Era con questa consapevolezza che Remo Bodei rispose.

«Immerse nella Rete, le persone hanno l'esperienza di un iperpresente nel quale tutte le conoscenze sono accessibili. Ma accessibili nello stesso tempo. È un'enorme ricchezza e un cambio di prospettiva». Si arriva ai risultati, che sono straordinariamente arricchenti, ma senza sperimentare quelle inefficienze con le quali si acquisisce la consapevolezza dei modi diversi con i quali sono stati realizzati: i podcast delle lezioni al Collège de France, accanto ai brani di Lady Gaga; le voci del popolo di Wikipedia accanto ai documenti dell'Europeana; le foto pubblicitarie accanto alle riproduzioni delle collezioni museali. Un web della consultazione, facilitata da Google, da iTunes, da Bing, da Wolfram Alpha. Al quale si aggiunge il web della segnalazione: la vita quotidiana su Facebook, su Twitter, con Delicious, mostra che l'interessante è spesso lo scambio di link, foto, video. Si è bravi "conversatori" con gli "amici" nel momento in cui si danno agli altri suggerimenti davvero interessanti o semplicemente curiosi, bizzarri. È un livello dello scambio di conoscenze che ne produce meno di quante ne faccia circolare. Chi ci sa fare, ne emerge con la mente più aperta, chi si chiude tra i soliti amici culturalmente omogenei, perde un'occasione. Come accade, del resto, a chi si chiude in una stanza ad abbeverarsi solo di programmi televisivi.

C'è chi lo fa. E c'è bisogno dunque di migliorare la nostra consapevolezza delle qualità e dei difetti di questo strumento. Ma si può dire che questo riduca la profondità culturale? Ha ragione Nicholas Carr nel domandarsi se per caso Google ci renda stupidi? La domanda è viva, come dimostra il fiuto di John Brockman, anima di Edge, che ha appena organizzato il suo annuale dibattito (online) intorno alla domanda: «In che modo internet sta cambiando il nostro modo di pensare?». È una domanda volutamente ambigua, perché riguarda sia quello che pensiamo sia i nostri percorsi cognitivi. Che induce per esempio il fisico Daniel Hillis a sottolineare che «Internet non è il web. Oggi si telefona con internet, si gestisce il traffico aereo su internet, si governa la logistica mondiale con internet. E anche in questo modo internet cambia il nostro modo di pensare. E lo cambierà ancora di più in futuro». Quello che si è fatto con internet finora non è niente in confronto a quello che ancora ci si può fare.

Già, che cos'è internet? Un generatore di cultura o la conseguenza di una cultura? Descrivere la rete con un taglio netto, come si potrebbe fare con una lavatrice, è una tentazione grande quanto la sua complessità. Possiamo dirci soprattutto quello che non è: non è Google, non è Wikipedia, non è Facebook. Non è il web. Non è un mezzo di comunicazione. Non è la biblioteca di Babele. Non è nessuna delle metafore che sono state utilizzate per definirla in modo semplice e veloce. È nata nel 1969 per servire gli scienziati di diverse università americane, tutti conosciuti e culturalmente omogenei. Gente che pensava come Fermi a un mezzo di cui si sarebbero avvantaggiate tutte le scienze e tutti gli indirizzi di ricerca.

È evoluta in direzioni impreviste. Ma con una regola sempre chiara: è evoluta essenzialmente sulla scorta dell'iniziativa di chi ha visto in internet un'opportunità e ha tentato di coglierla. L'atteggiamento di chi è interessato alla rete, per il modo in cui è costruita, non è mai quello di subire quello che produce e giudicarlo: l'atteggiamento è quello di prendere in mano un progetto e realizzarlo. Per migliorare la situazione dal suo punto di vista. Perché la rete non è soltanto quello che è: è anche quello che si vorrebbe che fosse. Quello che critici o entusiasti sperano che diventi. E il bello è che niente impedisce a chiunque abbia un progetto in mente, di provare a realizzarlo.
Non chiedetevi che cosa può fare il web per voi: chiedetevi che cosa voi potete fare per il web e avrete la risposta anche alla prima domanda.

13 gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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