Il nord e il credito / Sfumature verdi nella finanza bianca

di Marco Alfierie Paolo Bricco

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13 marzo 2010
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In questo scenario in cui tanti attori giocano ad immaginare una Terza Repubblica, siamo forse alle prime mosse, magari scollegate, di un nuovo, possibile, riassetto di potere della galassia del Nord. «Per alcuni anni c'è stato un quasi monopolio berlusconiano sulle scelte e sulle poltrone che contano», racconta un importante banchiere di sponda laica. «La nomina del bazoliano Giovanni Gorno Tempini in Cassa depositi e prestiti, alla vigilia di un decisivo giro di nomine nei grandi santuari finanziari del paese, rompe invece questo schema. È la prima stecca al coro».
Naturalmente c'è uno spruzzo di autotutela, in questa scelta: «Dal punto di vista industriale il nuovo ad sarà meno intransigente dell'uscente Varazzani sulle operazioni costose come lo sviluppo delle reti infrastrutturali, su cui i grandi gruppi bancari sono esposti e hanno bisogno del bollino di garanzia della Cassa», ragiona un influente banchiere cattolico. «Ma è evidente che l'approdo di Gorno in Cdp è anche la celebrazione di amorosi sensi tra la galassia bianca milanese e il ministro Tremonti».

Il segnale che le cose cominciano a rimettersi in manovra saldando un asse inedito tra scampoli della ex balena che tornano a raccordarsi, dopo molte incomprensioni: da un lato il post conciliare Bazoli, dall'altro il conservatore e botiniano Gotti Tedeschi più à la page nel nuovo corso Oltretevere, presidente della banca vaticana e consigliere in Cdp. In mezzo, a fare cerniera, c'è soprattutto il presidente della fondazione Cariplo e dell'Acri, Giuseppe Guzzetti. Asse inedito perché l'arrivo di Gotti allo Ior qualche mese fa si è perfezionato nonostante i dubbi del presidente del CdS di Intesa Sanpaolo. Invece il nuovo orizzonte mostra come la pax religiosa della diaspora post Dc, attraverso Guzzetti, già senatore eletto nel collegio "padanissimo" Cantù-Malnate nonché relatore a Palazzo Madama della legge 142/90 sul riassetto degli enti locali, si stia ricomponendo. Non era affatto scontato. Lo scenario, come detto, guarda a quello strano Godot che si chiama post Berlusconi e investe i miasmi di un Pdl in crisi di nervi e gli stessi sommovimenti di Tremonti e della Lega, cresciuta troppo per non essere un attore di mediazione obbligata, favorita dai buoni rapporti tra la nuova chiesa di Tarcisio Bertone, lo Ior e il Carroccio. Finora al partitone verde è bastato un po' di sottogoverno, vorace ma artigianale. Al limite l'ambizione finita male di farsi una banchetta (Credieuronord). Oggi è diverso. I dossier tipici della galassia del nord sono saldamente al centro delle sue trame. Il ruolo di Giancarlo Giorgetti è lì a dimostrarlo, mentre il fido Marcello Sala, oggi consigliere di Intesa San Paolo in quota Lega, potrebbe approdare al fondo per le Pmi misto Cdp e grandi banche.

Non è un caso che siano stati proprio i vecchi Dc, oggi al vertice della finanza e abituati dopo Tangentopoli a dover navigare sfusi e senza partito, i primi a capire il vento nuovo. Da Fabrizio Palenzona a Massimo Ponzellini, tutti in scia al precedente di Guzzetti, che da 13 anni guida con sapiente mediazione, non di rado criptoleghista, la Fondazione Cariplo, azionista forte di Intesa Sanpaolo. Cooperazione/competizione, insomma. Da un lato arginare il Carroccio, dall'altro cavalcarlo in chiave post Berlusconi.
Anche a sinistra è una valle di lacrime: il Pd non è mai davvero nato agli occhi della ricostituenda finanza post Dc: Bersani è bravo ma viene dai comunisti. Gli ex diccì, invece, si ritengono possessori di un certo tratto di eternità, potenza del marchio. Tutto passa, tranne loro... Superando così di slancio la stagione eroica del mercatismo egemone, privatizzazioni & legalità. L'asse con Tremonti nasce anche da qui. Si torna a protagonisti di un'altra stagione ma si scarta rispetto al familismo berlusconiano. Abbozzando un percorso non troppo coincidente con l'altra corrente carsica italiana: il presunto grande centro, il miraggio del «partito della borghesia». Un veterano del crocevia politica e affari come Bruno Tabacci è scettico sul ritorno della "balena" finanziaria: «Durante il quinquennio 2001-2006, quando Berlusconi non aveva ancora penetrato il salotto buono della finanza, i cosiddetti poteri forti potevano anche sembrare portatori di un messaggio originale», spiega l'esponente dell'Api «Ma non credo che, il dopo Cavaliere, siano in grado di deciderlo loro da soli». E sullo sfondo, sul Roma-Siena-Trieste, si staglia la sagoma di Francesco Gaetano Caltagirone, «l'uomo più liquido d'Italia». E questa, per ora, è un'altra storia.

13 marzo 2010
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