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Vestiamo di regole quei Cds «nudi»

di Marco Onado

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13 marzo 2010

La crisi greca ha avuto almeno il merito di riattivare il dibattito sull'opportunità di introdurre qualche forma di regolamentazione nel mercato dei credit default swap (Cds), i derivati cresciuti di più negli ultimi anni, da circa 630 miliardi di dollari nel 2001 (e sembrava già una dimensione più che ragguardevole) a 36mila miliardi di dollari alla fine del 2009.

L'obiettivo non è quello di eliminare la speculazione dai mercati, cosa tecnicamente impossibile, prima ancora che non desiderabile. Si tratta solo di evitare gli eccessi speculativi che, come già affermava Keynes, finiscono per avere fatalmente effetti catastrofici. E ovviamente settanta anni fa non si poteva neanche lontanamente immaginare che si potesse creare attraverso i derivati un mercato di posizioni sul rischio che è multiplo rispetto all'importo del credito sottostante.
Ma per raggiungere questo obiettivo bisogna affrontare il problema nel suo complesso, evitando di scambiare i sintomi con le cause e soprattutto evitando di puntare su misure apparentemente popolari ma di dubbia efficacia. È il rischio che si corre limitando il dibattito al problema delle posizioni allo scoperto.

Avendo visto che gli operatori finanziari possono "scommettere" sul dissesto di un paese sovrano, molti politici hanno puntato il dito contro gli speculatori e hanno chiesto di mettere al bando i contratti allo scoperto (in gergo naked Cds, ossia "nudi"), cioè la possibilità di vendere o comprare un'assicurazione contro il rischio di credito se manca il credito sottostante.
È fin troppo facile obiettare che i Cds non hanno provocato la crisi, né quella generale, né da ultimo quella greca, anche perché il volume dei Cds sui titoli greci è circa il 3% del totale del debito. Dunque, i mercati e in particolare la componente dei derivati ha svolto semplicemente la sua funzione di segnalare l'aggravamento della situazione, riconducibile solo all'emittente, dunque al governo greco.

Ma il problema è ben più complesso. Innanzitutto, nei naked Cds si creano comunque incentivi perversi che possono aumentare l'interesse di una parte dei partecipanti al mercato al dissesto del debitore e dunque rendere l'evento assicurato più probabile. E questo vale non solo per gli stati, ma anche, come è stato rilevato da molti in sede teorica, anche per le imprese. Ma soprattutto bisogna ricordare che i Cds non sono la causa delle crisi, ma si sono rivelati un potente fattore amplificatore. Negarlo dopo la catastrofe che si è abbattuta sui mercati finanziari è come spiegare con dovizia di dotti argomenti agli abitanti di Haiti che non esistono i terremoti.

La letteratura economica ha fornito, soprattutto negli ultimi tempi, molte prove sul potenziale distruttivo dei derivati, soprattutto dei Cds, nella loro forma attuale. Da ultimo John Geanakoplos, titolare a Yale di una cattedra intitolata al keynesiano James Tobin, ha fornito in diversi studi un'analisi ampia e convincente. In particolare, egli osserva che i Cds sono stati uno dei fattori fondamentali che hanno consentito di aumentare il volume delle posizioni complessive rispetto alle dimensioni del sottostante, alzando cioè il grado di indebitamento del sistema. E poiché il mercato era totalmente al di fuori dei circuiti regolamentati, non si avevano informazioni di sorta sulle posizioni in essere e non si sospettava che un'assicurazione come Aig potesse aver venduto protezione contro il rischio di credito per importi multipli rispetto al suo capitale. Né si poteva valutare l'effetto amplificatore delle perdite derivante dall'intreccio inestricabile di posizioni e dal fatto che molti operatori avevano venduto protezione (e dunque registrato perdite) per importi multipli rispetto alla perdita che si andava accumulando nei titoli sottostanti.

Le misure che lo studioso americano propone (e che sono condivise anche dai regolatori) sono fondamentalmente tre: l'obbligo di portare gli scambi su circuiti regolamentati per aumentare la trasparenza complessiva; l'obbligo di una controparte centrale (che attraverso i margini gestisce e limita il problema dell'insolvenza di un operatore, cioè il ripetersi di un caso Aig) e una più severa e soprattutto uniforme regolamentazione degli operatori che possono "vendere" protezione dal rischio di credito alle banche. Tutte misure che vanno a favore dell'efficienza di qualsiasi mercato, senza in alcun modo ledere gli interessi legittimi degli operatori. Senza contare che in questo modo le autorità avrebbero i mezzi conoscitivi e gli strumenti per indagare su episodi di manipolazione dei prezzi, che sono sempre possibili, ma che sono praticamente impunibili in circuiti totalmente opachi come quelli attuali. Gli speculatori non possono essere demonizzati come categoria, ma i manipolatori sì.
Con queste regole il problema delle posizioni "nude" verrebbe con tutta probabilità limitato automaticamente, almeno nei suoi effetti più distruttivi. E comunque è bene cominciare dalle fondamenta, non da una misura che piace forse ai politici ma che non è la soluzione del problema, né dal punto di vista teorico, né da quello delle logiche di mercato.

13 marzo 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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