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ECONOMIA GLOBALE / Non tutte le bolle sono a rischio

di Frederic Mishkin

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13 Novembre 2009

Aumenta la preoccupazione di poter incorrere in un altro ciclo di bolle dei prezzi degli asset che potrebbe rappresentare un grande pericolo per l'economia. Questo pericolo costituisce un buon motivo perché la Federal reserve degli Stati Uniti abbandoni la sua politica del tasso di interesse pari a zero al più presto, piuttosto che in un momento successivo, come molti commentatori hanno suggerito? La risposta è no.

Le bolle dei prezzi degli asset sono sempre potenzialmente pericolose? In realtà questa tipologia di bolle può essere divisa in due categorie. La prima e la più pericolosa è quella che io chiamo una "bolla del boom del credito", nella quale aspettative eccessive sulle prospettive economiche o le riforme strutturali nei mercati finanziari portano a un boom creditizio. L'accresciuta domanda di alcuni asset che ne consegue ne fa salire il prezzo, il che a sua volta incoraggia a concedere prestiti in cambio di tali asset, facendo espandere ancor più la domanda e quindi il prezzo, creando un feedback continuo che comporta un aumento della leva finanziaria, un maggior allentamento degli standard creditizi, e ancora un ulteriore aumento della leva finanziaria e così via, in un ciclo senza fine.

Alla fine, però, le bolle scoppiano, i prezzi degli asset crollano e ciò implica un'inversione del feedback continuo. I prestiti si irrigidiscono, ha inizio il deleveraging, la domanda di asset continua a scendere e i prezzi precipitano ancor più. Ne derivano perdite sui prestiti, cali dei prezzi degli asset tali da intaccare i bilanci d'esercizio degli istituti finanziari, un'ulteriore riduzione del credito e degli investimenti in una vasta gamma di asset. L'uso della leva finanziaria che ne risulta scoraggia la spesa delle famiglie e delle imprese, con il risultato d'indebolire l'attività economica e di far aumentare il rischio macroeconomico nei mercati creditizi. In verità la recente crisi è riassumibile proprio così.

La seconda categoria di bolle, che definisco "bolle di pura e irrazionale esuberanza", è molto meno pericolosa, perché non coinvolge il ciclo della leva finanziaria contro un più alto valore degli asset. Senza un boom creditizio, di per sé l'esplodere di una bolla non manda in tilt il sistema finanziario e quindi arreca molti meno danni. Per esempio, la bolla delle azioni tecnologiche della fine degli anni 90 non fu alimentata da un feedback continuo tra prestiti bancari e valori in aumento delle azioni; in realtà lo scoppio della bolla delle società tecnologiche non fu accompagnato da un rimarchevole deterioramento nei bilanci di esercizio delle banche.

Questa è una delle ragioni principali per le quali lo scoppio di quella bolla fu seguito da una recessione relativamente modesta. Analogamente, la bolla che scoppiò nel mercato azionario nel 1987 non sottopose a forte stress il sistema finanziario e l'economia in seguito se la cavò abbastanza bene.

Poiché la seconda categoria di bolle non presenta gli stessi pericoli per l'economia di una bolla da boom creditizio, rafforzare la politica monetaria per frenare una bolla da pura esuberanza irrazionale è una motivazione molto meno valida. Le bolle dei prezzi degli asset di questo tipo sono difficili da individuare. A posteriori è facile, naturalmente, ma prima che si presentino non lo è affatto (del resto, se i politici fossero così intelligenti perché mai non sono ricchi?).
Irrigidire una politica monetaria per frenare una bolla che non si materializza porterebbe a una crescita economica molto più debole di quanto sia concesso. Chiunque si occupa di politiche monetarie al pari dei medici dovrebbe prestare una specie di giuramento d'Ippocrate e impegnarsi ufficialmente a «non arrecare del male a nessuno».

Nondimeno, se una bolla rappresenta un pericolo per l'economia sufficientemente grande, come è il caso delle bolle per il boom creditizio, potrebbe essere opportuno che subentrasse una politica monetaria. In ogni caso, vi sono anche alcuni pareri contrari a questa pratica, il che spiega perché nelle università e nelle banche centrali sia molto acceso il dibattito volto a stabilire se per frenare le bolle dei prezzi degli asset debba essere utilizzata una politica monetaria oppure no.

Ma se le bolle sono una eventualità, è possibile che esse siano della varietà pericolosa, quella del boom creditizio? Almeno negli Stati Uniti e in Europa la risposta ovviamente è no. Il nostro problema non è un boom creditizio, ma il fatto che il processo di deleveraging non sia stato completato fino in fondo. I mercati creditizi sono tuttora molto chiusi e costituiscono un grave peso morto per l'economia.

Rafforzare la politica monetaria negli Stati Uniti o in Europa per frenare un'eventuale bolla non ha senso nella situazione contingente. La decisione della Fed di ribadire la formula che il tasso d'interesse sarà mantenuto «eccezionalmente basso» per un «periodo considerevole» ha senso soltanto tenendo conto dell'incertezza della ripresa, dell'enorme ristagno nell'economia, degli attuali bassi tassi d'inflazione e delle aspettative di un'inflazione stabile. In questa situazione contingente così critica, la Fed non deve distogliere in nessun caso la propria attenzione per concentrarsi sulle possibili bolle dei prezzi degli asset che non sono della varietà pericolosa, quella del boom creditizio.
(Traduzione di Anna Bissanti)

13 Novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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