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IL PUNTO / Benevento e Monza, i due Berlusconi: dall'insofferenza al realismo

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13 Ottobre 2009

Ci sono due Berlusconi. Il primo è quello di Benevento: aspro, insofferente verso il solito ventaglio di nemici, ansioso di annunciare un'ondata di riforme, a cominciare dalla giustizia. Il secondo è quello di ieri sera a Monza: a suo agio davanti alla platea degli industriali, meno polemico del solito, quasi sulla difensiva; attento a sottolineare che nessuno come lui è in grado di reggere agli attacchi, ragion per cui la stabilità della legislatura non è a rischio.
I due Berlusconi non sono agli antipodi uno dell'altro, tuttavia le differenze sono evidenti. Il primo, quello di Benevento, è un uomo che non riesce a mascherare le frustrazioni e sarebbe incline, seguendo le proprie pulsioni più profonde, a rovesciare il tavolo da gioco. Vorrebbe fare piazza pulita di tutti gli impedimenti istituzionali, dei vincoli che egli vive con sofferenza (dal ruolo del Quirinale alla Consulta), dei giornali che lo criticano. È il premier che adombra, pur senza dirlo, un cambiamento radicale della Costituzione: senza smentirli, lascia che a parlarne siano alcuni dei suoi collaboratori, a parere dei quali «la Carta è obsoleta»; e non è un caso se il «Giornale», per la penna di Vittorio Feltri, scrive che è il momento di avere un presidente della Repubblica eletto a suffragio universale e dotato di poteri esecutivi.
Niente di tutto questo a Monza. Il presidente del Consiglio non replica a Emma Marcegaglia che ha appena chiesto rispetto per Giorgio Napolitano «simbolo dell'Italia». Di fatto quindi aderisce all'appello. Per la prima volta da giorni il Quirinale e la Corte non finiscono nel tritacarne berlusconiano. Si torna a parlare di questioni concrete e il premier rientra nei panni del «realizzatore», consapevole che l'uditorio monzese è poco attratto dallo spettacolo delle risse romane e molto preoccupato per il rischio dell'ingovernabilità.
Si capisce allora che i due Berlusconi esprimono l'ambivalenza di un uomo indeciso su quale strada imboccare. Da un lato, vorrebbe andare alla resa dei conti con un assetto istituzionale che non ama e da cui si sente schiacciato. Ma non sa come fare. Le elezioni anticipate non sono possibili e in termini politici equivarebbero a un probabile suicidio. La riforma presidenziale della Costituzione è un'avventura irrealizzabile in un clima esasperato. Un conto è lasciare che se ne parli, altra cosa è farne una priorità dell'azione di governo.
Dall'altro lato, Berlusconi sa di dover parlare agli italiani il linguaggio realistico che essi si attendono da lui. Alla lunga, il consenso si conquista e si mantiene con il buon governo. Le nevrosi sono controproducenti. Ecco perché a Monza il premier ha riscoperto la sua vocazione a essere «imprenditore tra gli imprenditori». Segno che è consapevole di quali rischi comporta un braccio di ferro senza sbocchi con il Quirinale. Già la riforma della giustizia è diventata più difficile, non più facile, dopo i fatti recenti. Tanto che il ministro Alfano ha dovuto precisare che nessuno pensa a «vendette» contro i magistrati. Purtroppo invece la sensazione è proprio quella. Il che rischia di vanificare in partenza la riforma.
A maggior ragione, il «presidenzialismo» buttato nell'arena in modo casuale, come effetto del rancore verso il Capo dello Stato, è un rischio troppo grande per Berlusconi. Il quale in fondo è interessato soprattutto a una norma che lo preservi dai processi. Forse le minacce sono funzionali a questo ristretto obiettivo.

13 Ottobre 2009
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