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RIFORME / Se si concentra il merito l'ateneo acquista eccellenza

di Giacomo Vaciago

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13 Ottobre 2009

Le rivoluzioni sono davvero la cosa più facile da fare? Scrive Roberto Perotti (sul Sole 24 Ore del 7 ottobre) che introdurre la meritocrazia nell'università italiana è come «tirare un rigore a porta vuota»: bastano tre righe del ministro ed ecco che «il sistema assegna magicamente gli studenti migliori agli atenei migliori». Pensate che il governo francese ha invece deciso che ci vogliono dieci anni, e 20 miliardi di euro (dieci pubblici e dieci privati), affinché le dieci università che si è deciso saranno le migliori di Francia lo diventino davvero, cioè attirando da tutte le altre i professori e gli studenti migliori.
Questo è il vero problema che la "meritocrazia all'italiana" (di cui scriveva anche Innocenzo Cipolletta sul Sole 24 Ore del 4 ottobre) non ha mai voluto risolvere, non solo con il buon operare dell'attuale ministro dell'Università, ma neppure con i suoi predecessori meglio intenzionati. Il problema è di accettare che le università italiane siano tra loro in competizione per avere gli studenti migliori e quindi far sì che questa competizione avvenga – come nel resto del mondo – al rialzo (cioè concentrando la qualità) e non al ribasso (cioè regalando, o vendendo i voti).
Ciò che serve – e anche questo non lo faranno magicamente tre righe di un ministro, ma occorrono dieci anni di duro lavoro – è la riqualificazione (con molte probabili chiusure) di una rete di sedi universitarie, più di 300!, cresciuta a dismisura negli ultimi vent'anni, all'insegna del principio che gli studenti dovrebbero andare alla sede universitaria più vicina a casa per continuare a vivere in famiglia il più a lungo possibile.
Quando racconto ai miei colleghi americani o inglesi che in Italia più del 90% (dato Istat) degli studenti universitari a sera va a casa dalla mamma, non ci credono e pensano che li sto prendendo in giro. Eppure, è questo ciò che abbiamo fatto negli ultimi vent'anni, e non è successo in segreto o all'insaputa del governo. L'attuale è il primo governo ad aver contestato la generale compiacenza con cui un po' tutti – professori, studenti e soprattutto mamme – hanno accompagnato quella miracolosa espansione geografica dell'università. E l'ha fatto prima per carenza di soldi che per più nobili motivi di qualità della didattica e della ricerca scientifica.
Sta di fatto che ormai un primo passo è stato compiuto e quindi l'ambizione di selezionare alcune università come "migliori" ci costringerà a definire anche l'identikit di queste università.
Pensando a quelle che per unanime riconoscimento sono così considerate, nel resto del mondo, provo a indicare due caratteristiche essenziali. Le università migliori sono comunità di professori e di studenti che lì – assieme – vivono; vi sono quindi sufficienti collegi, residenze, mense, campi sportivi, cioè tutte quelle strutture che devono affiancare aule, laboratori, biblioteche.
Sono di dimensione contenuta (dai 10mila studenti del Mit ai 30mila di Oxford e di Cambridge) e accolgono docenti e studenti di tutto il mondo. Anche per questo, eventuali esami d'ammissione riservati a studenti nati e residenti qui sarebbero un controsenso.
Tutto ciò detto, quali sono le nostre speranze? Evidentemente, conviene essere ottimisti e continuare ad auspicare sia la meritocrazia sia un graduale processo di selezione che faccia davvero emergere le università migliori. Con la competizione che è ottenuta da regole e politiche appropriate, e consentendo che la selezione, e quindi anzitutto la mobilità di docenti e studenti, abbia il tempo necessario per dare i risultati desiderati. Se dovessi proprio consigliare qualcosa al ministro, insisterei su ciò che in tutto il mondo è condizione sine qua non perché vi sia un gruppo di università dove si concentra la qualità, e cioè che vi siano sufficienti collegi.
Quest'anno, il governo ha cercato di contrastare la grave crisi dell'edilizia consentendo agli italiani di ampliare le loro case, e saranno perciò contente le mamme che vedono così allontanarsi il momento in cui i figli dovranno lasciar la famiglia. Ma forse sarebbe stato meglio iniziare a costruire collegi nelle università che si impegnano ad attirare gli studenti migliori: nel giro di qualche anno, il loro impegno sarebbe diventato credibile.

13 Ottobre 2009
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