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In ordine sparso fuori dalla crisi

di Carlo Bastasin

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14 agosto 2009
Il ministro francese Christine Lagarde con quello tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg

In base ai dati del secondo trimestre, Germania e Francia sono uscite dalla recessione prima di ogni altro paese. Non si tratta di una vera sorpresa. Da maggio gli economisti tedeschi segnalavano che la maggiore economia europea era tornata a crescere e a esportare, mentre Parigi, anche nel pieno della crisi, aveva saputo limitare l'impatto sulla domanda e agganciare lo stimolo fiscale tedesco. I dati dei prossimi mesi saranno ancora molto variabili, ma fino a giugno la crescita è avvenuta nonostante la riduzione delle scorte delle imprese. La tenuta del consumo e dell'export dovrebbe dunque spingere le imprese a investire nei prossimi mesi e così forse a evitare i temuti effetti autunnali sulla disoccupazione.
In tal caso la crisi non avrà provocato danni strutturali alle due economie più rappresentative del modello europeo, pari a quasi il 50% del Pil della zona euro. I loro equilibri finanziari erano meno critici di quelli anglosassoni - il cui aggiustamento può pesare per anni sulla crescita - e un'opera coerente di intervento pubblico sugli ammortizzatori sociali e di sostegno alle imprese, entrambi sottostimati dagli economisti anglosassoni, le ha rimesse in piedi.
Una distanza preoccupante si è aperta però con il resto d'Europa. Se Francia e Germania sono cresciute dello 0,3% nel secondo trimestre, l'Italia ha perso lo 0,5% e la Spagna tra lo 0,7% e l'1%. Altre economie, di minore dimensione, hanno avuto risultati negativi. È presto per trarre conclusioni ma sulla zona euro grava un'ombra perché la crisi sta aprendo divergenze tra economie "veloci" ed economie "lente". Purtroppo questa divergenza potrebbe diventare strutturale.

L'uscita dalla crisi richiederà, per esempio, di tornare entro il 2011 a politiche fiscali e monetarie restrittive: i paesi incapaci di crescere saranno in difficoltà anche nel rientro del debito pubblico, molto aumentato durante la crisi, e saranno costretti a politiche fiscali ancora più severe, aggravando permanentemente il ritardo di crescita.
Per la Spagna si tratta addirittura di inventare un nuovo modello di sviluppo, per l'Italia invece si tratta di ritrovare una politica economica capace di esercitare uno stimolo espansivo sul breve termine e di intervenire contemporaneamente con misure strutturali sulla sostenibilità di lungo termine del debito pubblico.
I tempi a disposizione del governo sono molto stretti. In condizioni normali infatti un distacco tra paesi lenti e veloci tende a ridursi da solo, ma nella situazione prodotta dalla crisi globale il divario rischia di autoalimentarsi mese dopo mese.
In tutta Europa, infatti, la crisi ha ridotto il livello della crescita potenziale delle economie (il "limite di velocità" nell'impiego di lavoro, capitale e della produttività totale dei fattori), anche una modesta ripresa in Francia e Germania potrebbe quindi esaurire in quei paesi la residua capacità produttiva disponibile. Un economista parlerebbe di una "non linearità", cioè di un passaggio dai rischi di deflazione direttamente a quelli d'inflazione. A quel punto un aumento dei tassi d'interesse necessario al 50% dell'eurozona affonderebbe l'altro 50% a minor crescita. Non a caso l'ultimo bollettino Bce ha rivisto al rialzo l'inflazione attesa.
Dopo la crisi finanziaria, anche il credito alle imprese amplificherà i differenziali di sviluppo. Nei paesi in crescita, infatti, i sistemi finanziari torneranno a finanziare chi fa innovazione, mentre nei paesi lenti le banche continueranno a cercare solo di limitare le perdite.
Per evitare un allontanamento tra i paesi dell'euro (che danneggerebbe anche quelli veloci) la scelta ottimale sarebbe il coordinamento europeo delle politiche economiche. Ma gli ultimi mesi hanno indebolito l'ottimismo europeista perfino in chi scrive. Già nel "Piano europeo di ripresa economica" la parte comunitaria era minima. In seguito il coordinamento tra i paesi è stato esiguo nonostante almeno il 25% delle misure di stimolo nazionali avessero effetti diretti sui paesi partner.

Nel mezzo di una crisi finanziaria orrenda è mancata un'opera comune di trasparenza dei bilanci bancari (gli asset tossici restano ben nascosti), di stress testing, di ricapitalizzazione, o di ristrutturazione dei sistemi finanziari. Resta latente, così, la minaccia di una crisi in paesi con sistemi finanziari compromessi, senza margini di intervento fiscale e a bassa crescita (Belgio, Irlanda, Austria, Grecia o Gran Bretagna) che si scaricherebbe per contagio anche sugli altri. Una situazione che sarebbe risolvibile con forme di cooperazione fiscale o con strumenti di finanziamento comune come gli eurobonds. Proposte finora inascoltate.
Perché sia mancato il coordinamento tra governi europei è facilmente spiegabile. Ogni governo è intervenuto con misure che hanno privilegiato le constituency politiche (capitale per la destra, lavoro per la sinistra) più vicine al proprio elettorato e al proprio modello produttivo.
  CONTINUA ...»

14 agosto 2009
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