A ogni cambio di governo, si assiste in Italia a una sequela di accuse e controaccuse sull'entità del "buco" nei conti pubblici che gli uscenti hanno lasciato in eredità e gli entranti sono chiamati a risanare. Non è solo un problema italiano: ricordo un'analoga diatriba in Gran Bretagna, al cambio della guardia fra tories e laburisti, seppure condotta con toni più civili.
È in queste occasioni che qualche economista rilancia l'idea di un'autorità indipendente sui conti pubblici, o consiglio fiscale, che fornisca previsioni e valutazioni in modo autonomo rispetto al governo e possa fungere, come in altri paesi (l'esempio più citato è quello del Congressional Budget Office degli Stati Uniti), da autorevole "assistente" del parlamento nelle decisioni che hanno un impatto sulle finanze pubbliche. Solitamente, il dibattito è soffocato dalla polemica sul "buco" e non se ne parla più fino al cambio di governo successivo. Anche perché chi è in carica ha scarso interesse a trovarsi un controcanto vigoroso nella litania delle cifre.
Ricorda Alice Rivlin, la "mamma" del Cbo americano, che Margaret Thatcher se ne dimostrò entusiasta in una visita a Washington prima di andare al potere e annunciò che, una volta al governo, avrebbe adottato prontamente un'istituzione simile. Dopo l'elezione, e per oltre dieci anni a Downing Street, il suo fervore per un'autorità fiscale indipendente svanì del tutto.
In Italia, il momento propizio per rilanciare l'idea potrebbe essere adesso: non ci sono elezioni in vista e sui conti pubblici sembra esserci, se non un'intesa, quanto meno un riconoscimento da parte delle opposizione che il governo in carica ha mantenuto, anche nella crisi, una linea di rigore. Quindi le posizioni sono meno distanti, e meno acrimoniose, del solito.
Anche il contesto internazionale spinge in questa direzione. Secondo l'Fmi, nelle sue indicazioni al G-20 per l'uscita dai deficit provocati dalla crisi e per rendere sostenibile il debito, un'agenzia indipendente sui conti pubblici può dare un contributo decisivo alla trasparenza e "alzare il costo politico" di politiche sbagliate. L'Ungheria ha scelto questa strada nel pieno della crisi, vi ha messo a capo un esperto di livello internazionale di "regole fiscali", Gyorgy Kopits, ed è risultata l'unico paese dell'Ocse che, per volere o per forza, ha migliorato il deficit negli ultimi due anni. Nelle settimane scorse a Budapest una conferenza ad alto livello ha messo a confronto un'esperienza internazionale di agenzie indipendenti ormai vasta, dal Cile all'Olanda alla Svezia: 13 paesi Ocse hanno seguito il modello Usa.
Per la Rivlin, il compito è di «aiutare i politici ad affrontare scelte difficili». I politici spesso recalcitrano ad accettare questo aiuto, ma il messaggio non è mai stato attuale come ora, a sostegno della credibilità della disciplina fiscale, anche di fronte ai mercati che alla fine, Grecia docet, ne sono il giudice ultimo.