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Accertare la ricchezza fa bene al fisco

di Angelo Provasoli e Guido Tabellini

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14 aprile 2010

Se la maggioranza di governo vorrà davvero attuare un'incisiva riforma del sistema tributario italiano, la prima questione da affrontare è l'evasione fiscale. A seconda delle stime, il valore aggiunto non dichiarato varia tra il 16% e quasi il 18% del Pil, con una perdita complessiva di gettito che nel 2007 era stimata di oltre 100 miliardi di euro, pari a oltre il 60% dell'intero gettito Irpef. Inoltre, le rendite immobiliari dichiarate sono inferiori del 22% rispetto alle rendite catastali, mentre gli immobili presenti in catasto sono il 16% in più di quelli indicati dai contribuenti.
Non vi è una ragione tecnica che spieghi perché l'evasione fiscale sia così diffusa nel nostro paese, tanto da essere un fenomeno di massa. La ragione è politica. Se davvero si volesse, l'evasione fiscale potrebbe essere sostanzialmente debellata con investimenti non elevati.

Il punto di partenza è che, grazie ai progressi dell'informazione digitale, l'accertamento dei patrimoni è tecnicamente molto più agevole dell'accertamento dei redditi. Il patrimonio immobiliare non può essere nascosto, e la sua valutazione non è particolarmente complessa. E i dati sul patrimonio finanziario sono già in gran parte disponibili, poiché gli intermediari finanziari che operano in Italia sono tenuti a comunicare a una banca dati centralizzata (l'anagrafe dei conti) gli estremi dei conti unitamente al codice fiscale del titolare.
Poiché la variazione del patrimonio è uguale al reddito meno la spesa per consumi, l'accertamento dei patrimoni può diventare uno strumento cruciale per segnalare la presenza di redditi evasi: basterebbe confrontare la variazione annuale del patrimonio (valutato al costo di carico) con i redditi dichiarati.

L'idea di combattere l'evasione dei redditi sfruttando l'accertamento dei patrimoni richiede alcuni accorgimenti. Il primo è chiedere a ogni contribuente, o a quelli il cui patrimonio superi una data soglia, di compilare una dichiarazione annuale della consistenza patrimoniale. Quest'obbligo è già operante in Italia per i patrimoni localizzati all'estero; occorrerebbe estenderlo a tutto il patrimonio, indipendentemente dalla sua localizzazione.

Inoltre, per ridurre l'elusione, la dichiarazione dovrebbe preferibilmente riferirsi al nucleo familiare, anziché al singolo contribuente. Una dichiarazione patrimoniale, sebbene per finalità di tassazione e non solo di misurazione come qui ipotizzato, è prevista in vari paesi europei, ad esempio in Svizzera, Norvegia, Olanda, Liechtenstein e Francia.
Naturalmente, dichiarazioni errate o fraudolente andrebbero punite. Occorre quindi predisporre adeguati strumenti d'accertamento patrimoniale.

I problemi sono sostanzialmente tre. Il primo riguarda gli immobili. Il catasto immobiliare è ancora incompleto (gli immobili accatastati sono inferiori a quelli effettivamente presenti sul territorio) e le rendite catastali sono più basse, talora significativamente, rispetto ai valori di mercato. Risolvere questo problema richiede tempo, ma non è poi così difficile. Occorre però coinvolgere e responsabilizzare le amministrazioni locali, dando loro strumenti e incentivi adeguati. A questo proposito, è ottima l'idea di consentire ai comuni di finanziarsi con una ritenuta secca sui redditi figurativi degli immobili. I comuni sarebbero incentivati a valutare correttamente gli immobili e a completarne il catasto, perché sarebbero loro i primi beneficiari della lotta all'evasione.

Il secondo problema è l'elusione dei patrimoni attraverso l'intestazione a società. Ma anche questa non è una difficoltà insormontabile, almeno per quanto riguarda le società italiane, i cui soci sono già monitorati (attraverso l'anagrafe tributaria e il registro delle imprese presso le Camere di commercio). Anche in questo caso, come già per i patrimoni finanziari, occorrerebbe integrare banche dati già disponibili, e metterle a disposizione dell'amministrazione tributaria.
Il terzo problema è appunto l'integrazione del sistema informatico pubblico, arricchito nei termini suggeriti, per le esigenze dei nuovi obiettivi. L'assetto informatico dell'amministrazione dello stato e degli enti pubblici territoriali è di buon livello, ma è troppo parcellizzato. Nel tempo si sono formate vere e proprie "isole" di dati, modellate sulle esigenze delle diverse strutture: l'Agenzia delle entrate, del demanio, del territorio, delle dogane, il Dipartimento delle finanze, la Guardia di finanza, le regioni, e così via. La mancata integrazione di queste banche dati impedisce di sfruttare le grandi economie di scala offerte dalle nuove tecnologie informatiche.

Rimarrebbero due aree di possibile elusione o evasione: i patrimoni nascosti all'estero (direttamente o attraverso l'intestazione a società estere); e i redditi che sono direttamente consumati, senza portare ad alcuna accumulazione di patrimonio. Per quanto riguarda i primi (redditi o società estere), tuttavia, i recenti progressi nella cooperazione internazionale ne stanno riducendo la rilevanza. Quanto ai secondi (redditi consumati), si tratterebbe di rinforzare e ampliare gli indici di spesa che possono essere utilizzati come elementi presuntivi dei redditi percepiti.

  CONTINUA ...»

14 aprile 2010
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