Nashville, Tennessee. Patria della musica country, dove puoi imbatterti in simpatici personaggi con chitarra, cappellone da cow-boy, baffi e stivaloni che strimpellano per strada o si apprestano a partecipare al Grand Ole Opry, il più famoso programma di musica del genere.
Lo scorso week end, invece, le telecamere riprendevano strani signori vestiti come gentiluomini delle colonie britanniche del New England di fine Settecento, che spiegavano pazientemente come l'imposta sul reddito fosse incostituzionale e che il deficit degli Stati Uniti era assolutamente fuori controllo per colpa dei politicanti e dei burocrati di Washington. Erano gli attivisti della convenzione nazionale dei gruppi Tea Party, così denominati per ricordare la rivolta di Boston contro la tassa sul tè che fu la scintilla della rivoluzione americana.
Nati spontaneamente in gran parte tra persone che fino ad allora non avevano mai fatto politica i "Tea Party activists" propugnano il libero mercato, l'abbattimento della spesa pubblica e delle tasse e una minore intrusione dello stato nella vita dei cittadini. Sebbene alcuni di loro siano conservatori sia in politica estera che in quella sociale, essi sono concentrati sugli aspetti economici delle politiche pubbliche e vi trovano casa anche dei libertari. Dopo aver contribuito all'elezione di Scott Brown nel Massachusetts, i sempre più numerosi attivisti stanno ora mettendo il loro entusiasmo al servizio dei candidati che nelle primarie in corso in tutti gli Stati Uniti sono disposti ad abbracciare i loro principi.
Cambiamo inquadratura. Italia, vigilia delle elezioni regionali. Da noi, salvo che per Vendola o poco più, di primarie manco l'ombra. Tuttavia, le regionali offrono la possibilità delle care vecchie preferenze. Mi ha perciò incuriosito la notizia di un neonato gruppo, la ConfContribuenti, deciso ad appoggiare i candidati sottoscriventi un impegno a opporsi a qualsiasi aumento di tasse durante il loro mandato. Il sindacato dei tartassati, per riprendere il mai dimenticato film con Totò e Aldo Fabrizi, si ripropone di controllare successivamente l'operato dei firmatari eletti per verificare che rispettino gli impegni presi sul modello di quanto fa l'associazione Americans for Tax Reform. La Confederazione si presenterà al pubblico il prossimo 6 marzo ma già ora può contare su 700 simpatizzanti grazie a quel formidabile strumento che è Facebook.
Non è la sola iniziativa: la penisola sembra pullulare di club, blog, istituti di ispirazione liberista che vogliono dialogare direttamente con la politica, tipo il Club per l'Economia di Mercato e Libertiamo, o producono idee, studi, articoli come l'Ibl o noiseFromAmerika. Può da questo fermento nascere un arcipelago Tea Party che condizioni i partiti?
In effetti l'Italia sente sempre più l'invadenza della mano pubblica: gli episodi di corruzione di questi giorni sono lì a ricordare come appalti pubblici e regolamentazione soffochino l'onestà e l'economia. Non c'è settore produttivo in cui l'artiglio dello stato non allunghi la sua ombra opprimente, con danni all'efficienza e alla stessa democrazia. Eppure, il Belpaese non ha le tradizioni di civismo degli Stati Uniti, né il naturale sospetto che i cittadini americani nutrono verso la burocrazia: diverse sia la storia che la cultura. Sarà difficile per i volenterosi liberisti nostrani acquistare la forza dei Tea Party. Io, però, un'occhiata alla lista dei candidati che sottoscriveranno l'impegno richiesto dalla ConfContribuenti lo darò lo stesso...
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