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La spesa in fondo al tunnel

di Alberto Alesina

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14 febbraio 2010
La spesa in fondo al tunnel

La crisi fiscale greca è un esempio drammatico di un fenomeno più generale: le finanze pubbliche in dissesto di alcuni paesi con alti deficit e di altri con disavanzi abbastanza sotto controllo, ma con debiti così alti che qualunque shock sulle entrate o spese potrebbe avere gravi conseguenze (come l'Italia).

Gli stessi Stati Uniti si sono avviati verso una china di dissesto fiscale molto preoccupante. I mercati del dopo crisi sono molto nervosi e molto sensibili ai "rischi paese". Non c'è tempo da perdere: bisogna rimettere sotto controllo i bilanci pubblici riducendo deficit e debiti, in Grecia soprattutto, ma non solo: anche in tutti gli altri stati con debiti e/o deficit troppo elevati. Se gli spread sui tassi si allargano tutto diventa più difficile.

Non sarà la prima volta che assisteremo a "rientri" dal debito: negli anni 80-90 nei paesi Ocse ne abbiamo visti molti, dopo l'accumulo di deficit pubblici degli anni 70 e parte degli anni 80. In un recente lavoro di ricerca con Silvia Ardagna abbiamo calcolato che nei paesi Ocse vi sono stati più di 80 casi di un paese che in un anno ha ridotto il disavanzo primario (cioè al netto degli interessi) di oltre l'1,5% del Pil dagli anni 70 ai giorni nostri.

In alcuni casi la riduzione complessiva del deficit è stata molto forte: in Danimarca il disavanzo primario è sceso di quasi 13 punti percentuali del Pil dal 1982 al 1986, passando da un deficit di circa il 10% a un surplus di circa il 3%, la Svezia nel 1986-87 ridusse il deficit primario di quasi 7 punti di Pil in due anni, nel 1994 il disavanzo primario in Inghilterra era di quasi il 7% del Pil e nel 2000 vi era un surplus primario di circa il 3%. Quindi se la Grecia davvero volesse potrebbe farcela anche senza aiuti dall'estero.

Che cosa ci insegnano queste esperienze storiche recenti? La prima lezione è che gli unici aggiustamenti fiscali duraturi sono quelli che hanno ridotto la spesa e soprattutto hanno bloccato la dinamica automatica di certe voci come pensioni, trasferimenti e impiego pubblico.
Invece gli aggiustamenti che hanno aumentato le aliquote cercando di "rincorrere" la spesa come le imposte non hanno risolto il problema. L'Italia è il caso tipico. Nei primi anni 90, quando si è iniziato un lungo periodo di riduzione dei deficit lo si è fatto quasi esclusivamente dal lato delle imposte. Il risultato è che siamo ancora con un debito che corre verso il 130% del PIL, secondo stime del Fondo monetario internazionale. La seconda lezione è che, contrariamente all'opinione comune, riduzioni della spesa pubblica, che poi in prospettiva permettono riduzioni di imposte, non hanno effetti negativi sulla crescita e comunque ne hanno molto meno che aumenti del prelievo fiscale. Non è un caso che la crescita del nostro paese sia rallentata dai primi anni 90 con il progressivo aumento della pressione fiscale.

La terza lezione è che in paesi come quelli mediterranei, con sistemi di sicurezza sociali molto imperfetti, le riduzioni di spesa si possono fare senza intaccare il livello di protezione delle fasce più deboli. Ovviamente questo richiede riforme incisive e miglioramenti dei sistemi di welfare. Il coro che si leva contro riduzioni di spesa si appella alla solidarietà sociale, e che in Italia comprende indistintamente destra e sinistra, spesso nasconde le proteste di gruppi che vogliono difendere privilegi ingiustificati e spese pubbliche sprecate, insieme alle voci di politici non sufficientemente coraggiosi.

Infine la quarta lezione è politica. Non è vero che sempre e dovunque un governo che attacca i deficit e lo fa con decisione, chiarezza ed equità, cioè rimuovendo privilegi ingiustificati dal lato della spesa, venga punito dagli elettori. Questi ultimi sono molto più saggi di quanto in genere pensino i politici. Un governo con un orizzonte temporale relativamente lungo e con una maggioranza solida ha il tempo per far passare un programma anche ambizioso di aggiustamento e farne vedere i frutti.

Un ingrediente fondamentale è la chiarezza e la trasparenza dei conti e delle politiche fiscali: abbiamo infatti visto cosa è successo alla Grecia, che aveva nascosto a se stessa e al mondo i suoi dati. Se poi si spiega chiaramente agli elettori che la situazione fiscale è seria, il supporto politico aumenta. Invece diventa più difficile intraprendere politiche coraggiose se si ripete sempre che tutto va bene così, come si sente dire sempre più spesso in Italia (che parrebbe, oggi, a sentire certe voci, un modello di crescita e di rigore fiscale). Parlare quindi di riduzioni di imposte in Italia senza parlare di riduzioni di spesa, in questo momento, non ha alcun senso ed è anzi pericoloso se i mercati ne tenessero conto. Ma non lo fanno, perché sanno che sono solo parole.
Insomma, l'unico modo per risolvere una volta per tutte il problema dei conti pubblici è abbandonare la presunzione che qualunque riduzione di spesa sia una catastrofe per l'economia e per la carriera politica dei ministri economici. Non lo è, e comunque non ci sono alternative.

aalesina@harvard.edu

14 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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