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CASO GRECIA / Il Fme? Punisce solo chi fallisce

di Daniel Gros

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14 marzo 2010

L' Unione Europea è in una fase decisiva. I fondatori dell'Unione economica e monetaria (Uem) avevano messo in guardia già prima della nascita dell'euro dal pericolo che una gestione allegra dei bilanci avrebbe potutorappresentare per la stabilità della moneta comune. Tuttavia, gli stati membri hanno insistito per conservare piena sovranità in tale ambito.
La soluzione a questo rompicapo avrebbe dovuto essere il Patto di crescita e stabilità, insieme alla clausola di "non salvataggio" del Trattato di Maastricht. La seconda era pensata per imporre la disciplina di mercato e il primo per preservare la stabilità delle finanze pubbliche fissando un limite rigoroso ai disavanzi nazionali.

L'una e l'altro si sono rivelati futili. Il Patto di crescita e stabilità ha fallito nel suo scopo di prevenire deficit "eccessivi", e la clausola di non salvataggio ha fallito il suo primo test quando i leader europei, di fronte alla crisi greca, hanno dichiarato, l'11 febbraio,che i membri di Eurolandia avrebbero preso «misure decise e coordinate, se necessario, per salvaguardare la stabilità finanziaria dell'intera zona euro ». Che la clausola di non salvataggio non sarebbe riuscita a imporre la disciplina di mercato era prevedibile: in una crisi di sistema, la preoccupazione immediata di preservare la stabilità dei mercati prevale quasi sempre sul desiderio di impedire l'azzardo morale che insorge quando si corre in soccorso del debitore imprudente. Nel settembre 2008, il governo americano ha scelto di fare diversamente e ha lasciato che la Lehman Brothers fallisse. Il disastro che ne è seguito ha dimostrato i danni che può produrre un fallimento incontrollato.

Ma l'insegnamento da trarre non è che i fallimenti vanno evitati a tutti i costi: applicato al caso greco, questo significherebbe vanificare la pressione su Atene per risanare i conti pubblici. La soluzione alternativa è pensarci per tempo e prepararsi all'eventualità di un fallimento!
La principale arma negoziale in mano al debitore consiste nell'impossibilità per i creditori di prendere in considerazione il default, perché farebbe crollare l'intero sistema finanziario. Ma solo se il default è una possibilità reale si può imporre la disciplina di mercato. Ecco perché è fondamentale creare un meccanismo che consenta di contenere i costi (e dunque minimizzare gli sconvolgimenti) prodotti da un default.
È questo è lo scopo principale del Fondo monetario europeo (Fme) proposto da me e Thomas Mayer, e che il ministro dell'Economia della Germania Wolfgang Schäuble, insieme ad altri, ha messo al centro del dibattito nell'Unione Europea. Il Fme potrebbe gestire un fallimento controllato di un paese dell'area euro che non soddisfi le condizioni legate a un programma di risanamento.

Immaginiamo un meccanismo semplice, modellato sull'esperienza dei "Brady bond": erano titoli di stato emessi dai paesi latinoamericani in difficoltà all'inizio degli anni 90, nel quadro di un accordo per la rinegoziazione del debito estero. La garanzia era fornita da titoli di stato americani.
Per mettersi al riparo dagli effetti sistemici di un default, il Fme potrebbe offrire ai detentori di titoli del paese insolvente di cambiare tali titoli con diritti di rimborso offerti dal Fme, a condizione di accettare una decurtazione ( una "spuntatura") dei valori in loro possesso.
Sarebbe una misura fondamentale per limitare gli effetti un default, che sono dirompenti per il sistema finanziario perché tutti gli strumenti di debito di un paese in default diventano, almeno al momento, privi di valore e illiquidi. Ma con uno scambio modellato sull'esperienza dei Brady bond, le perdite per gli istituti di credito sarebbero limitate (e potrebbero essere controllate mediante la scelta della "spuntatura"). Il Fme diventerebbe a quel punto l'unico creditore del paese insolvente, che riceverebbe dal Fondo finanziamenti addizionali solo per scopi approvati dal Fondo stesso.

Anche gli altri finanziamenti comunitari verrebbero erogati sotto la stretta osservazione del Fme, oppure potrebbero essere usati per rifondere il debito del paese insolvente nei confronti del Fme stesso. Questo meccanismo metterebbe a disposizione per gli stati qualcosa di simile alle procedure che esistono negli Stati Uniti per le aziende in bancarotta che chiedono la ristrutturazione del debito.
Da dove ricaverebbe il Fme i fondi necessari per i suoi interventi? Noi proponiamo di istituire un fondo di assicurazione comune con contributi proporzionali al rischio che ogni stato membro rappresenta, basati quindi sui disavanzi di bilancio e i livelli di debito pubblico che costituiscono un segnale di allarme del rischio incombente di insolvenza o mancanza di liquidità. Il Fme potrebbe riscuotere un prelievo proporzionale su qualunque disavanzo superiore al 3% del Pil e qualunque debito pubblico superiore al 60% del Pil, i tetti fissati dal Patto di stabilità. Rappresenterebbe una sorta di multa automatica, che consentirebbe di superare la complessa struttura del Patto.

Questi due elementi, default controllato e meccanismo di finanziamento, potrebbero risolvere la crisi che colpisce attualmente Eurolandia: un Fondo monetario europeo con queste caratteristiche sarebbe un'istituzione capace di sostenere i paesi membri in difficoltà, ma anche di garantire l'effettiva applicazione della disciplina di mercato.

14 marzo 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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