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OBAMA/2 Delusione? Sì, troppi pasticci

di Alberto Alesina

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Il primo anno della presidenza Obama è stato deludente. I democratici hanno la maggioranza sia alla Camera sia al Senato, oltre a occupare la Casa Bianca, ma non hanno concluso molto, indipendentemente dal giudizio sul merito di cosa volessero fare.
La riforma sanitaria è in grande ritardo. Barack Obama l'aveva promessa entro l'estate scorsa, invece è ancora in discussione, seppure alle battute finali, e potrebbe diventare un pasticcio tra diverse formule. Il famoso (e discutibile) pacchetto di stimolo fiscale è rimasto largamente non speso nel 2009 e quindi rischia di creare ancor più deficit nel 2010, quando la situazione economica va migliorando e non vi è più bisogno di stimolo. La riforma delle regole dei mercati finanziari tentenna. Un giorno Obama sembra scagliarsi contro le istituzioni finanziarie, un altro giorno è conciliante, il terzo giorno parla di Volcker rule, che molti ritengono inapplicabile: l'incertezza continua. Non si decide se sarà la Fed o un'altra agenzia ad assumersi il ruolo di regolatore e protettore dei risparmiatori. E il presidente ha tentennato per settimane quando i suoi generali chiedevano più truppe in Afghanistan, che era sull'orlo del baratro.

Obama non è neppure riuscito a chiudere il carcere di Guantanamo, cosa che aveva promesso di fare entro fine anno scorso. E non è solo colpa dell'opposizione, che comunque ha diritto di opporsi.
La riforma sanitaria è andata a rilento anche a causa della sinistra intransigente del partito democratico e per colpa di quei parlamentari del partito di Obama che hanno barattato il loro voto con favori per i loro stati o distretti con compromessi assai poco dignitosi. Obama parlava di «change» ma invece è baratto politico «as usual». Gli elettori del Massachusetts lo hanno punito in modo clamoroso.
Allora cos'è che non va a Washington? La prima ipotesi è che Obama non sia un buon leader, cioè non sappia guidare il sistema, al di là dei suoi ottimi discorsi. La seconda ipotesi è che il sistema politico americano sia paralizzato dalle lobby e che nonostante un partito abbia la maggioranza non riesce a governare.
Io credo ci sia del vero in entrambe le ipotesi. Obama è forse, in termini di pura intelligenza, uno dei migliori presidenti americani ma l'intelligenza analitica non è la dote più importante per un buon leader. Il fallimentare Jimmy Carter era intelligentissimo, Ronald Reagan probabilmente non era un genio. Obama tentenna, cerca di vedere il pro e il contro di tutto, cerca di conciliare e non dirige. Gli americani sono stufi, e soprattutto, si badi, i democratici. Obama ha anche messo troppa carne al fuoco, ha due guerre aperte, il terrorismo, ha dovuto occuparsi della Grande Recessione, e poi la riforma sanitaria, le sue iniziative sul clima, l'Iran eccetera. In parte non e colpa sua, certi problemi erano sul tappeto, ma in parte sì.
Certo negli Stati Uniti le lobby sono potenti (così come in altri paesi) ma questa non è una novità per Obama, le lobby c'erano anche in passato. Ma forse, e questa è la seconda ipotesi, è aumentata la polarizzazione ideologica nel Congresso. In entrambi i partiti le ali più radicali sembrano aver guadagnato terreno, sicuramente la sinistra democratica populista guida la compagine legislativa e i repubblicani sembrano sempre più intransigenti e in alcuni casi ottusi.
Quindi diventa più difficile raggiungere quei compromessi su cui si basa il sistema americano e varie lobby che vogliono bloccare questa o quella legge si fregano le mani. Insomma Obama avrebbe un compito più arduo dei suoi predecessori perché si sarebbe rotto qualcosa nelle istituzioni americane che non riescono più a produrre quel consenso necessario per governare. Ecco quindi la paralisi.
C'è però anche una terza ipotesi più ottimistica, che in realtà questa non sia paralisi ma il naturale risultato di quel sistema di checks and balances che garantisce la protezione della minoranza dall'eccesso di attivismo della maggioranza.
Forse dal prolungato pasticcio del processo per la riforma sanitaria uscirà qualcosa di più consono alle preferenze degli americani della prima proposta di Obama e dei "no" a priori dei repubblicani. Le riforme delle regole per i mercati finanziari sono indubbiamente complesse e non scagliarsi a capofitto può essere l'approccio giusto perché errori legislativi in questo campo possono costare caro.
Insomma la differenza fra paralisi e checks and balances è molto sottile. Il compito di un buon presidente è quello di rimanere dalla parte giusta di questa linea. Quello che oggi indubbiamente sembra paralisi potrebbe rivelarsi moderazione e buon senso. Obama non ha molto tempo per definire da che parte di questa linea sta l'America e per salvare la sua presidenza.

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