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Troppo presto per gridare alla vittoria

di Orazio Carabini

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14 Novembre 2009

È giusto che squillino le trombe e che rullino i tamburi. L'Italia e l'Europa sono tecnicamente uscite da una recessione che durava da cinque trimestri, la più grave dal 1930, se si esclude il periodo della Seconda guerra mondiale. Nei mesi estivi è finalmente tornato il segno più davanti alla variazione del prodotto interno lordo. Anche la produzione industriale, il cui vero andamento è meno facile da decifrare in questa fase di inversione del ciclo, dà segnali incoraggianti.

Bisogna tuttavia essere ancora prudenti. Dopo il segno più ci sono numeri piccoli (e abbastanza instabili). La sensazione è che sia cominciata una ripresa assai timida, destinata a procedere piuttosto lentamente. Trainata, probabilmente, più dalle esportazioni che dalle altre componenti della domanda come i consumi e gli investimenti.

L'economia ha bisogno di una sferzata di ottimismo per ritrovare la fiducia. Ma non si può dimenticare che il Pil del terzo trimestre è allo stesso livello del terzo trimestre 2003 che non era molto più alto del terzo trimestre 2001. Certo, la botta è stata forte. E in diverse occasioni, negli ultimi 12 mesi, si è temuto che potesse essere anche peggiore. Quindi, la fine "formale" dell'incubo va salutata con il dovuto compiacimento, tirando un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Ma non trascurando i rischi che incombono ancora sul consolidamento della ripresa: la disoccupazione, che è destinata a crescere e che potrebbe provocare una compressione dei consumi, e la stretta creditizia, se i fallimenti delle imprese aumenteranno e le banche saranno più caute nel concedere prestiti. È peraltro dovere di tutti guardare avanti e fare il possibile perché la congiuntura cambi marcia. Così che si possa recuperare rapidamente il terreno perduto.

La ripresa degli altri, dalla lontana Cina alla vicina Germania, certo aiuterà anche l'economia italiana che potrà esportare di più. Ma una crescita sostenuta richiede anche un impulso proveniente dalla domanda interna, fatta di consumi e di investimenti. Il differimento di parte dell'imposta sulle persone fisiche dall'acconto di novembre al saldo del prossimo giugno è un utile incoraggiamento ai consumi natalizi. Ma non rappresenta una riduzione permanente del carico fiscale sulle famiglie.

La legge finanziaria approvata ieri dal Senato conferma che nel bilancio pubblico, secondo il governo, non c'è spazio per manovre espansive. Almeno per ora, quindi, è inutile invocare "stimoli" che metterebbero a rischio non solo la tenuta dei conti pubblici ma il finanziamento del debito se i mercati percepissero qualche segno di cedimento.

È difficile non apprezzare questa linea. Che però lascia irrisolta una questione di fondo, valida sempre ma oggi più che mai: possibile che su 800 miliardi di spesa pubblica non si trovi il modo di individuare dei risparmi da destinare al rilancio dell'economia? Tutti ormai hanno imparato che gran parte della spesa è incomprimibile, a cominciare da quei maledetti 80 miliardi di interessi sul debito che il paese si porta sulle spalle. Ma è davvero così impossibile ricavare le risorse per una riduzione permanente delle imposte, il modo più efficace per tonificare consumi e investimenti? È questo l'esercizio vero che si chiede a una classe politica responsabile: scegliere, tra le tante spese dello Stato e delle amministrazioni periferiche, quelle che si possono tagliare. Senza finzioni trucchi, rinvii. E poi ridurre le aliquote delle imposte, senza distinzioni, esenzioni, addizionali.

Non c'è modo più rapido e più efficace per sostenere la ripresa. E soprattutto per rimettere l'economia italiana su un sentiero di crescita che sia meno asfittico di quello sperimentato negli ultimi dieci anni: tornare a tassi di sviluppo del 2,5-3% l'anno è possibile. Ma serve il coraggio di tutti per arrivarci.

orazio.carabini@ilsole24ore.com

14 Novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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