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È qui che convergono i timori diffusi sulla stabilità monetaria Usa e sul ruolo esterno del dollaro. Una raccomandazione tipica a proposito del primo punto è quella di mantenere l'indipendenza della Federal Reserve e garantire la solvibilità a lungo termine dello Stato. Se aumentano i timori che una delle due cose - o peggio ancora, tutte e due - sia in pericolo, potrebbe scatenarsi una crisi che si autoalimenta. Il dollaro potrebbe precipitare e i tassi di interesse a lungo termine schizzare alle stelle. In una crisi del genere, si potrebbe temere, una Federal Reserve non pienamente indipendente sarebbe costretta ad acquistare debito pubblico, e questo accelererebbe il fuggi fuggi dal dollaro.
Le due precondizioni indispensabili per una stabilità sul lungo termine, quindi, sono una Banca centrale dotata di un'indipendenza credibile e uno Stato solvente, e gli Stati Uniti sembrano soddisfare entrambe.
Eppure è troppo semplice. La maggior parte degli analisti dà per scontato che la situazione di bilancio degli Stati Uniti possa essere determinata indipendentemente dalle decisioni prese altrove. Ma se il settore privato cercherà di ridurre l'indebitamento in un arco di tempo lungo (e dunque spenderà molto meno del proprio reddito), mentre il resto del mondo vorrà accumulare attività denominate in dollari come riserve, il Governo Usa emergerà naturalmente come prestatore di ultima istanza. Un corollario del dilemma di Triffin è che il ruolo internazionale del dollaro potrebbe rendere più difficile per gli Stati Uniti gestire efficacemente i propri problemi di bilancio, anche se vi fosse l'intenzione di farlo.
Arrivo, per una strada un po' diversa, alla stessa conclusione di Bergsten. Il ruolo globale del dollaro non è nell'interesse degli Stati Uniti. Gli argomenti per passare a un sistema diverso sono molto forti. Ma non perché il ruolo del dollaro sia in pericolo, bensì perché intralcia la stabilità interna e globale. Il momento delle alternative è arrivato.
Il saggio di Fred Bergsten The Dollar and the Deficits
sarà pubblicato nel numero di novembre-dicembre
di Foreign Affairs
(Traduzione di Fabio Galimberti)